Lo specchio
“E se scruterai a lungo nell'abisso,
anche l'abisso vorrà guardare in te.”
Friedrich Wilhelm Nietzsche
Parigi, 28 Dicembre 1777
Ancora non mi spiego cosa mi abbia spinto ad acquistare quello specchio, quale bruciante bramosia si sia insidiata dentro le mie vene, come un veleno che oscura la mente e lascia spazio al delirio. Soltanto adesso ho avuto il coraggio di narrare la mia storia, e mi accingo a battere a macchina queste bianche pagine, mentre le mani tremano a causa del terrore che mi affligge. Non ho molto tempo, l'orologio sulla scrivania segna le ventitré, e fra sessanta minuti esatti Lui verrà a prendermi... O lei, o... Quella cosa non ha forma, non ha volto, si plasma sulle nostre paure! Già percepisco l'oscurità farsi più vicina, ma devo scrivere, devo lasciare una testimonianza dell'orrore che ha avuto luogo qui, in questa stessa stanza. Si narra che gli specchi siano il tramite con l'aldilà, l'anello mancante fra il nostro mondo e quello degli spettri; io ho sempre provato timore davanti a quelle cristalline superfici capaci di far luce sui nostri difetti, e dato il mio essere tremendamente superstiziosa mi sono convinta che vi albergassero strane creature, continuamente desiderose di uscire dalla propria prigione. E' anche per questo che ad ogni morte avvenuta nella mia casa non ho esitato a coprire tutti gli specchi con lunghi panni, ma nel contempo l'orrore e la repulsione sono stati sempre accompagnati da una conturbante attrazione nei confronti di quegli oggetti. Così, senza riflettere sulla mia paura, me ne sono circondata, fino a che non è diventata un'ossessione; specchi contemporanei, d'epoca , con cornici in oro, ottone, bronzo, ricami con angeli. Ne ho acquistati a migliaia, e sono arrivata al punto di aborrire il contatto con il mondo esterno pur di rimanere sola con Loro. Eppure ero giovane, bella, colta e capace di ottenere tutti gli uomini che desideravo. Ma rifiutavo i piaceri della vita e non uscivo di casa se non per recarmi in qualche bottega che vendeva quegli oggetti che tanto adoravo e detestavo nello stesso modo.
Un giorno di dicembre, mossa dalla curiosità di visitare il nuovo antiquariato non troppo lontano da dove dimoravo, uscii nonostante la neve ed il gelo che si avviluppava alla mia pelle. Quando entrai rimasi strabiliata di fronte alla maestosità della stanza, ma una strana sensazione di smarrimento mi impedii di sorridere al negoziante; quel luogo era curiosamente buio, illuminato soltanto da poche candele scure, così lunghe da sembrare dita scheletriche. Deglutii e mi avvolsi lo scialle nero intorno al collo, come atterrita dal pensiero che quelle mani potessero stringersi attorno alla mia gola.
<<Salve signorina, desiderate?>>
La voce del negoziante rimbombò nelle mie orecchie come un suono cupo e baritonale, trasalii e quasi tartagliai nel rispondere.
<<Io... Voi … Perdonatemi, volevo sapere se avete degli specchi,>>
L'uomo sorrise con aria sinistra, scoprendo i denti storti ed ingialliti, e rispose: <<Da questa parte,>>
Lo seguii a passi lenti ed incerti,osservando con stupore i cumuli di polvere grigiastra addensati sugli oggetti.
<<Mi scuso per il disordine, ma abbiamo aperto da poco ed ancora non abbiamo avuto il tempo di sistemare e pulire a fondo,>>
Mi disse senza sembrare imbarazzato.
<<Non gestite quest'attività da solo?>>
Domandai guardandomi intorno.
<<No, sono qui insieme a mia moglie,>>
<<Ed ora dove si trova?>>
L'uomo mi guardò con uno sguardo indecifrabile e pronunciò delle parole sconnesse che all'interno di quella tetra stanza mi fecero rabbrividire.
<<Lei è morta di tubercolosi molto tempo fa ma ancora è qui con me...>>
<<Come?>>
Sussurrai con occhi sgranati, lui si premette un dito sulle labbra e mi intimò di tacere.
<<Sentite? E' questo il suono che mi tormenta ogni notte!>>
<<Io non sento niente...>>
Risposi.
<<Ascoltate bene,>>
Entrambi tacemmo, ed il silenzio invase la stanza... Pochi attimi, le fiamme della candele divennero improvvisamente più lunghe e dei forti colpi di tosse turbarono i miei timpani come il suoni di una rauca sofferenza.
<<Eccola! E' lei! E' questo il respiro che mi tormenta ogni notte!>>
Con un gesto stizzito comandai al negoziante di tacere e parlai furiosa per mascherare l'evidente spavento.
<<Signore vi prego, siamo nel 1777, non nel Medioevo! Smettetela con queste storie di fantasmi!>> Lui si ricompose immediatamente ed assunse un altro aspetto e temperamento.
<<Vi prego di scusarmi, è che la sua assenza mi tormenta, ed a volte mi lascio trasportare da queste fantasie. Venite, vi mostrerò ciò che desiderate,>>
Passammo attraverso una tenda logora e sdrucita, e come in un sogno dimenticai l'accaduto di fronte ad una visione così celestiale ed agghiacciante.
<<Sono bellissimi, meravigliosi!>>
Esclamai osservando gli innumerevoli specchi, lui sorrise compiaciuto.
<<Prendetevi il tempo necessario per decidere!>>
Scrutai a fondo ognuno di quei mistici oggetti, ma nessuno mi colpì particolarmente, fino a che i miei occhi non si posarono su di uno specchio... Quello specchio.
<<Questo. Sapete dirmi qualcosa?>>
Il negoziante sorrise con un ghigno inquietante, ed i suoi occhi mi sembrarono colorarsi di un rosso infernale.
<<Ottima scelta,>> disse.
Si trattata di un mastodontico specchio dalla cornice dorata, con inciso sulla sommità un terribile serpente dalle fauci spalancate, che stringeva fra i denti affilati un enigmatico sigillo. Era molto antico, doveva aver più di cento anni.
<<Questo. È un pezzo da collezione signorina, potrebbe costarle caro...>>
Disse l'uomo con tono che mi fece ghiacciare il sangue nelle vene.
<<Credo di potermelo permettere,>>
Dissi imbambolata dinanzi a quel mobilio simile ad un'arcana reliquia.
<<Questo specchio risale agli inizi del cinquecento, alcuni dicono che sia un portale per l'altro mondo,>>
Impallidii ed esitai un istante, ma un indecifrabile sentimento di orrore e desiderio mi spinse a comprarlo; c'era qualcosa lì dentro, qualcosa che mi aveva annebbiato la mente, reso delirante e decisa nel divenire padrona della mia stessa rovina.
<<E' sicura di poterselo permettere? Ne siete certa? Vi costerà caro, molto caro!>>
Le candele si spensero e riaccesero in pochi secondi, e mi sembrò che il trasandato vecchio uomo stesse parlando insieme a qualcun altro, che dalla gola fuoriuscissero due voci, ed una era un sibilo agghiacciante.
<<Vi sembro una donna che non può permetterselo? Avanti, ditemi il prezzo,>> dissi spazientita, l'uomo sorrise e rispose:<< ecco a voi,>>
Lo pagai, lui strinse nelle mani rugose e viscide il denaro, ed i suoi occhi si illuminarono di nuovo di quel bagliore rossastro.
<<Domani manderò qualcuno a casa vostra per portarvi lo specchio, lasciatemi il vostro indirizzo,>>
Scrisse con l'inchiostro nero su di un vecchio foglio.
<<Il vostro nome?>>
Domandò poi.
<<Claire Lefevre.>>
Il negoziante salutò con un lieve inchino ed io non esitai a lasciare quel lugubre posto, senza voltarmi, non accorgendomi che il serpente avvinghiato allo specchio si mosse e strisciò accanto alle gambe del vecchio, sibilando e spalancando le sue orribili fauci.
L'indomani fu un giorno ancor più nevoso e freddo, così ghiacciato da costringermi ad indossare più indumenti possibili per non provare la sensazione di fastidiosi aghi conficcati nella mia pelle. Quando mi fu consegnato il mobilio tanto desiderato, fui indecisa sul posto dove collocarlo, poi optai per la mia lussuosa stanza, ringraziai gli uomini e contemplai la mia immagine vanesia; oh, se solo la mia ossessione non mi avesse inghiottita, quanta felicità avrei potuta bramare al di fuori! La verità era che non sentivo il bisogno di qualcuno accanto, ancor meno di un noioso uomo.
Girai su me stessa per ammirarmi, sorrisi soddisfatta del mio acquisto, e pensai che forse avrei potuto collocarlo nella stanza degli specchi. Scossi il capo lievemente, quello era davvero splendido per essere oscurato dagli altri. Scesi le scale ed iniziai a suonare il pianoforte; una melodia lieve, armoniosa, che si accordava all'elegante salotto dai tappeti rosso sangue. Mi abbandonai a quelle note soavi, chiusi gli occhi e non mi accorsi di qualcosa di viscido e raccapricciante che strisciava fra le mie gambe. Non vidi neanche la danza macabra e mortale che stava avendo luogo interno a me. Finché non spalancai gli occhi. Delle inquietanti figure nere che sembravano avere il corpo di veli logori e squarciati si mossero appena, e svanirono. Gridai di terrore e mi coprii il volto con le mani, ai miei piedi vi era ancora quella cosa viscida, ed intorno al collo si stavano stringendo delle mani gelide e sottili. Mi alzai, corsi nella mia stanza e solo allora vidi una scia di sangue scarlatto scorrere dal polpaccio della gamba sinistra.
<<Oh Dio!Che cosa sta succedendo qui?>>
Esclamai tremando per lo sgomento, tastai la ferita e mi parve che si trattassero di due fori di esigue dimensioni, affini a quelli del morso di un serpente.
Come nel negozio l'atmosfera divenne tetra ed oscura, e le fiamme dei candelabri si allungarono angosciosamente prima di spegnersi; ero al buio, racchiusa in un vortice di paura, con l'unica consolazione di poter stringere fra le mani la piccola croce al mio collo. Udii un rumore di passi lenti accompagnati ad un orrido verso più simile ad un mostro che ad un umano. Mi posai una mano sulla bocca per trattenere il respiro e mi infilai sotto al letto mentre quel lamento diveniva più vicino e chiaro; era latino, chiunque fosse stava parlando in quell'arcana lingua e si trovava a pochi centimetri da me. Soffocai un grido vedendo delle gambe che non avevano nulla di umano, e per un istante credetti che quell'essere abominevole si stesse allontanando... Sì, stata andando verso la porta... Stava... Un volto mostruoso e malefico si pose dinnanzi a me, aveva scoperto dov'ero! Occhi di un rosso rubino fissarono intensamente i miei, un ghigno demoniaco mi fece gridare così forte che quelle urla echeggiano fra queste antiche mura ancora adesso. Tutto intorno divenne buio, non riuscivo a distinguere più la realtà dall'incubo.
Quando mi svegliai la luce del mattino filtrava attraverso le finestre scricchiolanti, ma l'aria era gelida e le candele spente. Mi accorsi di essere distesa a terra immobile, con gli arti intorpiditi e doloranti come chi cade dopo una violenta lotta. Mi rialzai stordita, tentai di sforzare la memoria, ma non ricordavo nulla. Un senso di vuoto ed oscurità si era impadronito di me, ed il polpaccio ancora sanguinava. Ero debole, e non appena mi guardai allo specchio rabbrividii di fronte al mio volto scarno ed orribilmente pallido. Pensai di essere affetta da una qualche malattia e non indugiai a chiamare un medico. Egli mi visitò scrupolosamente, ma non trovò nulla di anomalo o infetto nel mio gracile corpo.
<<Signorina mi spiace, ma voi siete in perfetta salute, non riesco a spiegarmi il perché siate così...>> l'uomo si interruppe temendo di offendermi ed essere scortese.
<<Verrò a visitarvi finché ce ne sarà necessità.>>
E svanì nell'ombra, ma io non lo degnai neanche di uno sguardo, una parola... Tenevo gli occhi fissi sull'inquietante specchio che stata segnando la mia rovina, osservando la mia immagine riflessa: un fantasma, ecco cosa vedevo.
Con il passare dei giorni il medico tornò, ma la mia situazione peggiorava e la bellezza che mi aveva caratterizzata un tempo si deteriorava lentamente con una crudeltà indicibile.
<<Questa ferita a cos'è dovuta?>>
Gli domandai riferendomi ai fori violacei e sanguinanti che ormai sia andavano estendendo sulla mia pelle diafana.
<<Non saprei, davvero, sembra il morso di un rettile, ma in questa stagione sono in letargo, e voi non uscite spesso...>>
Il dottore rifletté meno di un lungo minuto, poi mi fissò negli occhi turbato.
<<Non ve li procurate da sola Claire, vero? Perché se è così dovete dirmelo!>>
Lo interruppi con astio e sdegno nella voce.
<<Come potete insinuare questo? Mio Dio, c'è qualcuno, o qualcosa che mi fa del male! Tutte le sere suono il pianoforte, poi accade qualcosa e mi sveglio a terra il mattino seguente!>>
Parlai coma una folle.
<<Sentite Claire, la vostra condizione è molto particolare. Vedete, siete sola tutto il giorno in questa grande dimora, non conversate con nessuno, quella vostra ossessione per gli specchi...>>
Lo fermai di nuovo.
<<Io sto bene così, vivo serenamente e non tenterei mai di farmi morire, dovete capirlo! C'è qualcosa che...>>
Non riuscii più a parlare vedendo dinnanzi a me qualcosa di mostruoso uscire trascinandosi su quattro zampe dallo specchio... Gli occhi erano iniettati di sangue, la pelle di un colore smorto, e le mani così lunghe e sottili che le unghie sembravano degli artigli affilati; sorrise con un ghigno spalancando le proprie fauci malefiche. Non aveva capelli né tratti facciali, era semplicemente un'entità demoniaca.
<<Oh no! E' sera! Ci siamo! Dobbiamo fuggire! Voltatevi!>>
Gridai in preda alla disperazione, ma quell'essere afferrò il medico stringendolo nella propria morsa, e vidi l'uomo gemere di dolore al contatto con quegli artigli affilati.
<<No! Che cosa diavolo... No, fermo!>>
Gridò con tutto il fiato che aveva in corpo, ma il mostro gli tagliò la gola sotto i miei occhi ed il dottore annaspò cessando di parlare.
<<Chi sei, che cosa vuoi da me?!>>
Parlai terrorizzata, ma quella cosa non fiatò, si limitò a sorridere maleficamente; poi gettò il corpo sgozzato e grondante di sangue a terra, mi sfiorò con una delle sue orride mani e tutto iniziò a smaterializzarsi: la creatura, il cadavere del medico, la mia stanza. L'unica immagine che rimase nitida fu lo specchio, quel terribile oggetto portatore di mali e sventure, ed aggrovigliato intorno vi era un serpente non d'oro, bensì fatto di carne, di scaglie nerastre, di occhi con pupille triangolari. Dopo quella visione caddi di nuovo in un sonno profondo e tormentato, ma questa volta mi risvegliai ben tre giorni dopo.
La soffusa luce solare si proiettò dalle finestre sulle mie palpebre, gridai aprendo gli occhi, o almeno credetti di farlo, perché dalla mia bocca non usciva alcun suono; avevo la gola secca e la bocca impastata di saliva, come se avessi dormito per più di cento anni, e gli arti erano totalmente anchilosati e dolenti. Mi mossi a terra strisciando lentamente a fatica, quasi graffiai il pavimento con il vano tentativo di trovare un appiglio; ci fu un rumore sgradevole provocato dallo stridere delle unghie sul marmo, così fastidioso da darmi l'impressione che stessero per sanguinarmi i timpani. Quando finalmente riuscii a rialzarmi, tremai osservando la mia immagine allo specchio: sembravo uno spettro. La pelle diveniva progressivamente più scarna, gli occhi circondati da occhiaie nerastre, le labbra bianche e screpolate, ma ciò che mi riempì il cuore di terrore furono i due fori sul polpaccio. Si stavano dilatando sempre più, fino a tramutarsi in profonde ferite color porpora.
<<Questa non sono io!>>
Gridai con voce stridula, indossai il cappotto alla svelta ed uscii trascinandomi; non sapevo cosa stesse accadendo, ma ero certa che il problema fosse lo specchio, e quel vecchio negoziante doveva avere la risposta. Camminai sulla neve a fatica, rischiando di cadere a terra più volte tanto mi sentivo debole, poi una voce si insinuò nella mia testa: -Claire...- diceva con timbro malefico. <<Claire...Claire...>> ripeteva come una vecchia cantilena infantile.
Mi presi la testa fra le mani e barcollai, implorando quel suono simile ad un latrato canino di smettere.
<<Voltati.>>
Ordinò prima di svanire, io mi mossi lentamente sudando freddo... Pochi istanti, avevo quasi volto lo sguardo verso la mia dimora.
<<No...>>
Dissi dentro me quasi pregando; quella cosa era alla finestra, si muoveva su quattro zampe scheletriche come un ragno, e sorrideva. Sì, corrugava le linee del volto mostruoso in un ghigno colmo di soddisfazione. Istintivamente corsi come una forsennata lungo la strada ghiacciata, inciampando più volte e rialzandomi di scatto, finché non giunsi davanti all'arcana porta dell'emporio.
<<Aprite! Aprite!>>
Gridai bussando con violenza, dei passi si fecero vicini e l'uomo aprì la porta... Era sempre quel vecchio malandato e sporco, con indosso gli stessi vestiti dell'ultima volta che l'avevo incontrato, ma un particolare mi fece tremare le vene: era ringiovanito di più di dieci anni.
<<Bonjour Mademoiselle, cosa posso fare per voi?>>
Esordì con tono allegro, lasciando scoperti i denti ingialliti e spaventosamente storti.
<<Devo parlarvi!>>
Dissi con voce tremante gettando un'occhiata fugace all'interno, deglutii dinnanzi all'oscurità che aleggiava nella stanza.
<<Venite, entrate pure cara,>> disse con un inchino non smettendo di sorridere.
<<Che cosa mi sta succedendo?>>
Lui allargò ancora le labbra, e disse: << Entrate.>>
Obbedii a stento e varcai la soglia della porta. All'interno vi era un conturbante olezzo nell'aria, un odore di zolfo così nauseante da farmi mancare il respiro; era buio, soltanto una candela rosso cremisi illuminava la stanza, e mi ritrovai a camminare lentamente, la sensazione fu la stessa di trovarmi nel vuoto.
<<Aspettate, dove state andando...>>
Sussurrai tossendo, ma l'uomo continuava a proseguire celere senza voltarsi. Camminai, ma lo spazio circostante non esisteva, era infinito, così come l'inferno. Non c'erano tracce né di specchi, o di altro genere di mobilio, il nulla regnava insieme all'oscurità. Finalmente il negoziante si fermò.
<<Ti piacciono gli specchi Claire, vero? Anche quelli maledetti, non è così?>>
L'uomo parlava con due voci differenti in corpo, ed una non era altro che un sibilo strozzato e sofferente.
<<Di cosa state parlando?>>
Domandai io guardandomi intorno come per cercare una via di fuga, ma il negoziante si voltò e mi fissò con occhi rossi come rubini, poi aprì la bocca per proferir parola, ma ne fuoriuscì soltanto una raccapricciante lingua biforcuta.
Indietreggiai e caddi a terra, le ferite sul polpaccio iniziarono a bruciare ardentemente.
<<Chi sei?>>
Chiesi trascinandomi il più lontano possibile con le mani, quella cosa orrida sibilò come una serpe e si guardò gli artigli insanguinati compiaciuta.
<<Vedi Claire, sapevo che prima o poi sarebbe giunta una sciocca ingenua come te qui, ed avrebbe acquistato lo specchio,>> il mostro fece una pausa e proseguì, <<mia moglie è sempre stata esperta di magia nera, così quando si è ammalata, ha deciso di legarci per sempre.>>
Improvvisamente al posto del volto orripilante dell'uomo comparve quello di una donna dagli occhi di ghiaccio.
<<Oh sì, l'ho legato a me, ho unito le nostre anime con un antico rito, ma tutto questo aveva un prezzo...>>
La voce era quella strozzata di lei.
<<Sono una strega e servo gli inferi, così mio marito ha dovuto vendere l'anima ad Astaroth, ed in cambio ha ottenuto l'immortalità insieme a me.>>
La vecchia megera sorrise con i denti dorati.
<<Ed io cosa c'entro con tutto questo?>>
Dissi, ancora a terra.
<<Astaroth è il demone della vanità, per questo alberga da tempo immane in quello specchio che hai acquistato, ed attendeva soltanto una vanesia come te!>>
La cosa fece una risata agghiacciante e baritonale.
<<Si è nutrito di te sotto forma di serpente, ed ormai sei in suo possesso. Nessuno può salvarti Claire, e non appena verrà a prenderti, finirai all'Inferno, mentre noi venderemo lo specchio a qualcun altro e la storia si ripeterà in eterno!>>
In eterno. Quelle parole mi fecero rabbrividire. Tentai di controbattere dicendo che non ero a conoscenza della verità sullo specchio, che non avrei mai venduto la mia anima al diavolo, ma ormai era troppo tardi, e quel mostro dalla lingua viscida e biforcuta rise con forza, gelando il sangue nelle mie vene.
<<Il tuo destino è segnato.>>
Disse, e come d'incanto il suo volto iniziò a smaterializzarsi; misi a fuoco l'immagine, ma non riuscii a scorgere altro che i due volti dei coniugi sovrapporsi a quello del diabolico demone, ruotando così vorticosamente che tutto perse significato. Fui inghiottita da una nube nera e persi i sensi.
Quando aprii gli occhi notai che mi trovavo nuovamente nella mia dimora, era notte, e l'ambiente aveva assunto la forma di un vecchio castello spettrale. Percepivo qualcosa di spaventoso in quella casa, ed ogni singolo particolare sembrava osservarmi con occhi iniettati d'odio a malvagità. Il terrore si innescò nelle mie vene così repentinamente da farmi recedere più volte dall'alzarmi da terra, fino a che non udì quelle voci maligne nel mio cervello, e mi mossi.
-Lui verrà a prenderti fra tre ore, ma è già lì- dicevano i coniugi, deglutii e mi appoggiai alla libreria dato che ero ancora molto debole. Un sibilo tagliente irruppe nella stanza, rimasi immobile, di pietra. Era vicino, molto vicino. Rabbrividii al contatto con qualcosa di squamoso che si stava avvinghiando alla mia gamba, abbassai lo sguardo lentamente e vidi gli occhi rosso sangue del serpente fissi sui miei. Gridai e mossi veemente il polpaccio per liberarmi da quella morsa, corsi su per le scale marmoree ed entrai nella mia camera da letto. Dovevo distruggere lo specchio.
<<Maledetto!>>
Inveii quando il demone si manifestò attraverso quella superficie cristallina e sogghignò. Afferrai il comodino d'ebano accanto a letto e lo gettai sullo specchio... Ci fu un attimo di funesto silenzio mentre osservavo atterrita le schegge ricomporsi, -Non è possibile, dovrebbe essere in pezzi!- pensai, ma il malefico oggetto era di nuovo intatto, lucente come non mai.
<<No! No!>>
Gridai disperata gettandomi a terra, e sotto i miei occhi lacrimanti lo specchiò iniziò a grondare sangue scarlatto, che si riversò sul pavimento come un fiume impetuoso; ed all'interno il demone dai lunghi artigli rideva soddisfatto della mia rovina. Fu allora che capii quanto fosse folle e patetico il solo pensiero di riuscire a distruggere quel mobilio dell'inferno, e risi anch'io, sì, come una folle, così forte da provocarmi forti crampi allo stomaco. Per un istante credetti che le budella sarebbero esplose unendosi al lago rosso sul pavimento. Trascorsi più di un'ora fra il desiderio impellente di puntarmi una pistola alla tempia e quello di continuare a sragionare di fronte a ciò che mi attendeva, finché non vidi la macchina da scrivere. Era lì, carica d'inchiostro per riempire bianche pagine, così mi sono alzata, ho camminato su tutto quel rosso e mi sono seduta di fronte all'unica cosa che seppur inanimata poteva donarmi sollievo. Dovevo narrare la mia storia, a costo di scarnificarmi le dita per battere i tasti pur di scrivere tutto in tempo.
Ed ora sono qui, con un macabro corteo di demoniache ombre che danzano sotto la luce lunare, il serpente che ancora stringe la mia carne fino a renderla violacea, e si nutre della mia essenza. So che può sembrarvi il racconto di una pazza psicotica, ma è la realtà che mi ha tormentata, ed ora so quanto siano dannatamente veri i mostri. Loro esistono, vivono fra di noi, negli oggetti che meno temiamo, continuamente pronti a succhiarci via la linfa vitale. Sono quasi certa che anche questa lugubre ed impolverata macchina da scrivere sia viva, perché la sento respirare affannosamente, come stanca di dar luce ai miei pensieri; ed in questo istante continua a macchiare d'inchiostro il foglio, senza che io muova un dito, sono troppo stanca e debole per farlo.
23:55, soltanto cinque minuti.
23:56, ne mancano quattro.
23:57, le candele si sono spente e l'aria è diventata improvvisamente gelida e nauseante, macchiata dallo zolfo.
23:58, lo specchio si sta tramutando in una voragine nera, riesco a scorgere soltanto delle mani grigiastre che spuntano dall'oscurità come grossi ragni.
23:59, la voce è vicina, percepisco i suoi movimenti scomposti su quattro zampe, l'orrida figura è a pochi passi da me... Le unghie affilate stanno iniziando a graffiare la mia gola.
24:00, Astaroth è su di me, mi sento soffocare, i suoi occhi rossi hanno l'aspetto di due rubini non ancora intagliati, gemme uniforme e prive di lucentezza. I pensieri vengono proiettati sul foglio autonomamente, la macchina da scrivere ha davvero vita propria. Una nebbia oscura mi avvolge, La Cosa sta possedendo la mia anima. Non sono certa che morirò, ho l'impressione che diventerò una pedina nelle mani diaboliche del diavolo. E questo mi terrorizza, perché sarò costretta ad osservare il lento declino di migliaia di persone nei secoli, tutti coloro che acquisteranno quello specchio maledetto. Forse anche tu, che ora stai leggendo queste mie memorie, potresti essere dannato. Per l'eternità.
Claire Lefevre
anche l'abisso vorrà guardare in te.”
Friedrich Wilhelm Nietzsche
Parigi, 28 Dicembre 1777
Ancora non mi spiego cosa mi abbia spinto ad acquistare quello specchio, quale bruciante bramosia si sia insidiata dentro le mie vene, come un veleno che oscura la mente e lascia spazio al delirio. Soltanto adesso ho avuto il coraggio di narrare la mia storia, e mi accingo a battere a macchina queste bianche pagine, mentre le mani tremano a causa del terrore che mi affligge. Non ho molto tempo, l'orologio sulla scrivania segna le ventitré, e fra sessanta minuti esatti Lui verrà a prendermi... O lei, o... Quella cosa non ha forma, non ha volto, si plasma sulle nostre paure! Già percepisco l'oscurità farsi più vicina, ma devo scrivere, devo lasciare una testimonianza dell'orrore che ha avuto luogo qui, in questa stessa stanza. Si narra che gli specchi siano il tramite con l'aldilà, l'anello mancante fra il nostro mondo e quello degli spettri; io ho sempre provato timore davanti a quelle cristalline superfici capaci di far luce sui nostri difetti, e dato il mio essere tremendamente superstiziosa mi sono convinta che vi albergassero strane creature, continuamente desiderose di uscire dalla propria prigione. E' anche per questo che ad ogni morte avvenuta nella mia casa non ho esitato a coprire tutti gli specchi con lunghi panni, ma nel contempo l'orrore e la repulsione sono stati sempre accompagnati da una conturbante attrazione nei confronti di quegli oggetti. Così, senza riflettere sulla mia paura, me ne sono circondata, fino a che non è diventata un'ossessione; specchi contemporanei, d'epoca , con cornici in oro, ottone, bronzo, ricami con angeli. Ne ho acquistati a migliaia, e sono arrivata al punto di aborrire il contatto con il mondo esterno pur di rimanere sola con Loro. Eppure ero giovane, bella, colta e capace di ottenere tutti gli uomini che desideravo. Ma rifiutavo i piaceri della vita e non uscivo di casa se non per recarmi in qualche bottega che vendeva quegli oggetti che tanto adoravo e detestavo nello stesso modo.
Un giorno di dicembre, mossa dalla curiosità di visitare il nuovo antiquariato non troppo lontano da dove dimoravo, uscii nonostante la neve ed il gelo che si avviluppava alla mia pelle. Quando entrai rimasi strabiliata di fronte alla maestosità della stanza, ma una strana sensazione di smarrimento mi impedii di sorridere al negoziante; quel luogo era curiosamente buio, illuminato soltanto da poche candele scure, così lunghe da sembrare dita scheletriche. Deglutii e mi avvolsi lo scialle nero intorno al collo, come atterrita dal pensiero che quelle mani potessero stringersi attorno alla mia gola.
<<Salve signorina, desiderate?>>
La voce del negoziante rimbombò nelle mie orecchie come un suono cupo e baritonale, trasalii e quasi tartagliai nel rispondere.
<<Io... Voi … Perdonatemi, volevo sapere se avete degli specchi,>>
L'uomo sorrise con aria sinistra, scoprendo i denti storti ed ingialliti, e rispose: <<Da questa parte,>>
Lo seguii a passi lenti ed incerti,osservando con stupore i cumuli di polvere grigiastra addensati sugli oggetti.
<<Mi scuso per il disordine, ma abbiamo aperto da poco ed ancora non abbiamo avuto il tempo di sistemare e pulire a fondo,>>
Mi disse senza sembrare imbarazzato.
<<Non gestite quest'attività da solo?>>
Domandai guardandomi intorno.
<<No, sono qui insieme a mia moglie,>>
<<Ed ora dove si trova?>>
L'uomo mi guardò con uno sguardo indecifrabile e pronunciò delle parole sconnesse che all'interno di quella tetra stanza mi fecero rabbrividire.
<<Lei è morta di tubercolosi molto tempo fa ma ancora è qui con me...>>
<<Come?>>
Sussurrai con occhi sgranati, lui si premette un dito sulle labbra e mi intimò di tacere.
<<Sentite? E' questo il suono che mi tormenta ogni notte!>>
<<Io non sento niente...>>
Risposi.
<<Ascoltate bene,>>
Entrambi tacemmo, ed il silenzio invase la stanza... Pochi attimi, le fiamme della candele divennero improvvisamente più lunghe e dei forti colpi di tosse turbarono i miei timpani come il suoni di una rauca sofferenza.
<<Eccola! E' lei! E' questo il respiro che mi tormenta ogni notte!>>
Con un gesto stizzito comandai al negoziante di tacere e parlai furiosa per mascherare l'evidente spavento.
<<Signore vi prego, siamo nel 1777, non nel Medioevo! Smettetela con queste storie di fantasmi!>> Lui si ricompose immediatamente ed assunse un altro aspetto e temperamento.
<<Vi prego di scusarmi, è che la sua assenza mi tormenta, ed a volte mi lascio trasportare da queste fantasie. Venite, vi mostrerò ciò che desiderate,>>
Passammo attraverso una tenda logora e sdrucita, e come in un sogno dimenticai l'accaduto di fronte ad una visione così celestiale ed agghiacciante.
<<Sono bellissimi, meravigliosi!>>
Esclamai osservando gli innumerevoli specchi, lui sorrise compiaciuto.
<<Prendetevi il tempo necessario per decidere!>>
Scrutai a fondo ognuno di quei mistici oggetti, ma nessuno mi colpì particolarmente, fino a che i miei occhi non si posarono su di uno specchio... Quello specchio.
<<Questo. Sapete dirmi qualcosa?>>
Il negoziante sorrise con un ghigno inquietante, ed i suoi occhi mi sembrarono colorarsi di un rosso infernale.
<<Ottima scelta,>> disse.
Si trattata di un mastodontico specchio dalla cornice dorata, con inciso sulla sommità un terribile serpente dalle fauci spalancate, che stringeva fra i denti affilati un enigmatico sigillo. Era molto antico, doveva aver più di cento anni.
<<Questo. È un pezzo da collezione signorina, potrebbe costarle caro...>>
Disse l'uomo con tono che mi fece ghiacciare il sangue nelle vene.
<<Credo di potermelo permettere,>>
Dissi imbambolata dinanzi a quel mobilio simile ad un'arcana reliquia.
<<Questo specchio risale agli inizi del cinquecento, alcuni dicono che sia un portale per l'altro mondo,>>
Impallidii ed esitai un istante, ma un indecifrabile sentimento di orrore e desiderio mi spinse a comprarlo; c'era qualcosa lì dentro, qualcosa che mi aveva annebbiato la mente, reso delirante e decisa nel divenire padrona della mia stessa rovina.
<<E' sicura di poterselo permettere? Ne siete certa? Vi costerà caro, molto caro!>>
Le candele si spensero e riaccesero in pochi secondi, e mi sembrò che il trasandato vecchio uomo stesse parlando insieme a qualcun altro, che dalla gola fuoriuscissero due voci, ed una era un sibilo agghiacciante.
<<Vi sembro una donna che non può permetterselo? Avanti, ditemi il prezzo,>> dissi spazientita, l'uomo sorrise e rispose:<< ecco a voi,>>
Lo pagai, lui strinse nelle mani rugose e viscide il denaro, ed i suoi occhi si illuminarono di nuovo di quel bagliore rossastro.
<<Domani manderò qualcuno a casa vostra per portarvi lo specchio, lasciatemi il vostro indirizzo,>>
Scrisse con l'inchiostro nero su di un vecchio foglio.
<<Il vostro nome?>>
Domandò poi.
<<Claire Lefevre.>>
Il negoziante salutò con un lieve inchino ed io non esitai a lasciare quel lugubre posto, senza voltarmi, non accorgendomi che il serpente avvinghiato allo specchio si mosse e strisciò accanto alle gambe del vecchio, sibilando e spalancando le sue orribili fauci.
L'indomani fu un giorno ancor più nevoso e freddo, così ghiacciato da costringermi ad indossare più indumenti possibili per non provare la sensazione di fastidiosi aghi conficcati nella mia pelle. Quando mi fu consegnato il mobilio tanto desiderato, fui indecisa sul posto dove collocarlo, poi optai per la mia lussuosa stanza, ringraziai gli uomini e contemplai la mia immagine vanesia; oh, se solo la mia ossessione non mi avesse inghiottita, quanta felicità avrei potuta bramare al di fuori! La verità era che non sentivo il bisogno di qualcuno accanto, ancor meno di un noioso uomo.
Girai su me stessa per ammirarmi, sorrisi soddisfatta del mio acquisto, e pensai che forse avrei potuto collocarlo nella stanza degli specchi. Scossi il capo lievemente, quello era davvero splendido per essere oscurato dagli altri. Scesi le scale ed iniziai a suonare il pianoforte; una melodia lieve, armoniosa, che si accordava all'elegante salotto dai tappeti rosso sangue. Mi abbandonai a quelle note soavi, chiusi gli occhi e non mi accorsi di qualcosa di viscido e raccapricciante che strisciava fra le mie gambe. Non vidi neanche la danza macabra e mortale che stava avendo luogo interno a me. Finché non spalancai gli occhi. Delle inquietanti figure nere che sembravano avere il corpo di veli logori e squarciati si mossero appena, e svanirono. Gridai di terrore e mi coprii il volto con le mani, ai miei piedi vi era ancora quella cosa viscida, ed intorno al collo si stavano stringendo delle mani gelide e sottili. Mi alzai, corsi nella mia stanza e solo allora vidi una scia di sangue scarlatto scorrere dal polpaccio della gamba sinistra.
<<Oh Dio!Che cosa sta succedendo qui?>>
Esclamai tremando per lo sgomento, tastai la ferita e mi parve che si trattassero di due fori di esigue dimensioni, affini a quelli del morso di un serpente.
Come nel negozio l'atmosfera divenne tetra ed oscura, e le fiamme dei candelabri si allungarono angosciosamente prima di spegnersi; ero al buio, racchiusa in un vortice di paura, con l'unica consolazione di poter stringere fra le mani la piccola croce al mio collo. Udii un rumore di passi lenti accompagnati ad un orrido verso più simile ad un mostro che ad un umano. Mi posai una mano sulla bocca per trattenere il respiro e mi infilai sotto al letto mentre quel lamento diveniva più vicino e chiaro; era latino, chiunque fosse stava parlando in quell'arcana lingua e si trovava a pochi centimetri da me. Soffocai un grido vedendo delle gambe che non avevano nulla di umano, e per un istante credetti che quell'essere abominevole si stesse allontanando... Sì, stata andando verso la porta... Stava... Un volto mostruoso e malefico si pose dinnanzi a me, aveva scoperto dov'ero! Occhi di un rosso rubino fissarono intensamente i miei, un ghigno demoniaco mi fece gridare così forte che quelle urla echeggiano fra queste antiche mura ancora adesso. Tutto intorno divenne buio, non riuscivo a distinguere più la realtà dall'incubo.
Quando mi svegliai la luce del mattino filtrava attraverso le finestre scricchiolanti, ma l'aria era gelida e le candele spente. Mi accorsi di essere distesa a terra immobile, con gli arti intorpiditi e doloranti come chi cade dopo una violenta lotta. Mi rialzai stordita, tentai di sforzare la memoria, ma non ricordavo nulla. Un senso di vuoto ed oscurità si era impadronito di me, ed il polpaccio ancora sanguinava. Ero debole, e non appena mi guardai allo specchio rabbrividii di fronte al mio volto scarno ed orribilmente pallido. Pensai di essere affetta da una qualche malattia e non indugiai a chiamare un medico. Egli mi visitò scrupolosamente, ma non trovò nulla di anomalo o infetto nel mio gracile corpo.
<<Signorina mi spiace, ma voi siete in perfetta salute, non riesco a spiegarmi il perché siate così...>> l'uomo si interruppe temendo di offendermi ed essere scortese.
<<Verrò a visitarvi finché ce ne sarà necessità.>>
E svanì nell'ombra, ma io non lo degnai neanche di uno sguardo, una parola... Tenevo gli occhi fissi sull'inquietante specchio che stata segnando la mia rovina, osservando la mia immagine riflessa: un fantasma, ecco cosa vedevo.
Con il passare dei giorni il medico tornò, ma la mia situazione peggiorava e la bellezza che mi aveva caratterizzata un tempo si deteriorava lentamente con una crudeltà indicibile.
<<Questa ferita a cos'è dovuta?>>
Gli domandai riferendomi ai fori violacei e sanguinanti che ormai sia andavano estendendo sulla mia pelle diafana.
<<Non saprei, davvero, sembra il morso di un rettile, ma in questa stagione sono in letargo, e voi non uscite spesso...>>
Il dottore rifletté meno di un lungo minuto, poi mi fissò negli occhi turbato.
<<Non ve li procurate da sola Claire, vero? Perché se è così dovete dirmelo!>>
Lo interruppi con astio e sdegno nella voce.
<<Come potete insinuare questo? Mio Dio, c'è qualcuno, o qualcosa che mi fa del male! Tutte le sere suono il pianoforte, poi accade qualcosa e mi sveglio a terra il mattino seguente!>>
Parlai coma una folle.
<<Sentite Claire, la vostra condizione è molto particolare. Vedete, siete sola tutto il giorno in questa grande dimora, non conversate con nessuno, quella vostra ossessione per gli specchi...>>
Lo fermai di nuovo.
<<Io sto bene così, vivo serenamente e non tenterei mai di farmi morire, dovete capirlo! C'è qualcosa che...>>
Non riuscii più a parlare vedendo dinnanzi a me qualcosa di mostruoso uscire trascinandosi su quattro zampe dallo specchio... Gli occhi erano iniettati di sangue, la pelle di un colore smorto, e le mani così lunghe e sottili che le unghie sembravano degli artigli affilati; sorrise con un ghigno spalancando le proprie fauci malefiche. Non aveva capelli né tratti facciali, era semplicemente un'entità demoniaca.
<<Oh no! E' sera! Ci siamo! Dobbiamo fuggire! Voltatevi!>>
Gridai in preda alla disperazione, ma quell'essere afferrò il medico stringendolo nella propria morsa, e vidi l'uomo gemere di dolore al contatto con quegli artigli affilati.
<<No! Che cosa diavolo... No, fermo!>>
Gridò con tutto il fiato che aveva in corpo, ma il mostro gli tagliò la gola sotto i miei occhi ed il dottore annaspò cessando di parlare.
<<Chi sei, che cosa vuoi da me?!>>
Parlai terrorizzata, ma quella cosa non fiatò, si limitò a sorridere maleficamente; poi gettò il corpo sgozzato e grondante di sangue a terra, mi sfiorò con una delle sue orride mani e tutto iniziò a smaterializzarsi: la creatura, il cadavere del medico, la mia stanza. L'unica immagine che rimase nitida fu lo specchio, quel terribile oggetto portatore di mali e sventure, ed aggrovigliato intorno vi era un serpente non d'oro, bensì fatto di carne, di scaglie nerastre, di occhi con pupille triangolari. Dopo quella visione caddi di nuovo in un sonno profondo e tormentato, ma questa volta mi risvegliai ben tre giorni dopo.
La soffusa luce solare si proiettò dalle finestre sulle mie palpebre, gridai aprendo gli occhi, o almeno credetti di farlo, perché dalla mia bocca non usciva alcun suono; avevo la gola secca e la bocca impastata di saliva, come se avessi dormito per più di cento anni, e gli arti erano totalmente anchilosati e dolenti. Mi mossi a terra strisciando lentamente a fatica, quasi graffiai il pavimento con il vano tentativo di trovare un appiglio; ci fu un rumore sgradevole provocato dallo stridere delle unghie sul marmo, così fastidioso da darmi l'impressione che stessero per sanguinarmi i timpani. Quando finalmente riuscii a rialzarmi, tremai osservando la mia immagine allo specchio: sembravo uno spettro. La pelle diveniva progressivamente più scarna, gli occhi circondati da occhiaie nerastre, le labbra bianche e screpolate, ma ciò che mi riempì il cuore di terrore furono i due fori sul polpaccio. Si stavano dilatando sempre più, fino a tramutarsi in profonde ferite color porpora.
<<Questa non sono io!>>
Gridai con voce stridula, indossai il cappotto alla svelta ed uscii trascinandomi; non sapevo cosa stesse accadendo, ma ero certa che il problema fosse lo specchio, e quel vecchio negoziante doveva avere la risposta. Camminai sulla neve a fatica, rischiando di cadere a terra più volte tanto mi sentivo debole, poi una voce si insinuò nella mia testa: -Claire...- diceva con timbro malefico. <<Claire...Claire...>> ripeteva come una vecchia cantilena infantile.
Mi presi la testa fra le mani e barcollai, implorando quel suono simile ad un latrato canino di smettere.
<<Voltati.>>
Ordinò prima di svanire, io mi mossi lentamente sudando freddo... Pochi istanti, avevo quasi volto lo sguardo verso la mia dimora.
<<No...>>
Dissi dentro me quasi pregando; quella cosa era alla finestra, si muoveva su quattro zampe scheletriche come un ragno, e sorrideva. Sì, corrugava le linee del volto mostruoso in un ghigno colmo di soddisfazione. Istintivamente corsi come una forsennata lungo la strada ghiacciata, inciampando più volte e rialzandomi di scatto, finché non giunsi davanti all'arcana porta dell'emporio.
<<Aprite! Aprite!>>
Gridai bussando con violenza, dei passi si fecero vicini e l'uomo aprì la porta... Era sempre quel vecchio malandato e sporco, con indosso gli stessi vestiti dell'ultima volta che l'avevo incontrato, ma un particolare mi fece tremare le vene: era ringiovanito di più di dieci anni.
<<Bonjour Mademoiselle, cosa posso fare per voi?>>
Esordì con tono allegro, lasciando scoperti i denti ingialliti e spaventosamente storti.
<<Devo parlarvi!>>
Dissi con voce tremante gettando un'occhiata fugace all'interno, deglutii dinnanzi all'oscurità che aleggiava nella stanza.
<<Venite, entrate pure cara,>> disse con un inchino non smettendo di sorridere.
<<Che cosa mi sta succedendo?>>
Lui allargò ancora le labbra, e disse: << Entrate.>>
Obbedii a stento e varcai la soglia della porta. All'interno vi era un conturbante olezzo nell'aria, un odore di zolfo così nauseante da farmi mancare il respiro; era buio, soltanto una candela rosso cremisi illuminava la stanza, e mi ritrovai a camminare lentamente, la sensazione fu la stessa di trovarmi nel vuoto.
<<Aspettate, dove state andando...>>
Sussurrai tossendo, ma l'uomo continuava a proseguire celere senza voltarsi. Camminai, ma lo spazio circostante non esisteva, era infinito, così come l'inferno. Non c'erano tracce né di specchi, o di altro genere di mobilio, il nulla regnava insieme all'oscurità. Finalmente il negoziante si fermò.
<<Ti piacciono gli specchi Claire, vero? Anche quelli maledetti, non è così?>>
L'uomo parlava con due voci differenti in corpo, ed una non era altro che un sibilo strozzato e sofferente.
<<Di cosa state parlando?>>
Domandai io guardandomi intorno come per cercare una via di fuga, ma il negoziante si voltò e mi fissò con occhi rossi come rubini, poi aprì la bocca per proferir parola, ma ne fuoriuscì soltanto una raccapricciante lingua biforcuta.
Indietreggiai e caddi a terra, le ferite sul polpaccio iniziarono a bruciare ardentemente.
<<Chi sei?>>
Chiesi trascinandomi il più lontano possibile con le mani, quella cosa orrida sibilò come una serpe e si guardò gli artigli insanguinati compiaciuta.
<<Vedi Claire, sapevo che prima o poi sarebbe giunta una sciocca ingenua come te qui, ed avrebbe acquistato lo specchio,>> il mostro fece una pausa e proseguì, <<mia moglie è sempre stata esperta di magia nera, così quando si è ammalata, ha deciso di legarci per sempre.>>
Improvvisamente al posto del volto orripilante dell'uomo comparve quello di una donna dagli occhi di ghiaccio.
<<Oh sì, l'ho legato a me, ho unito le nostre anime con un antico rito, ma tutto questo aveva un prezzo...>>
La voce era quella strozzata di lei.
<<Sono una strega e servo gli inferi, così mio marito ha dovuto vendere l'anima ad Astaroth, ed in cambio ha ottenuto l'immortalità insieme a me.>>
La vecchia megera sorrise con i denti dorati.
<<Ed io cosa c'entro con tutto questo?>>
Dissi, ancora a terra.
<<Astaroth è il demone della vanità, per questo alberga da tempo immane in quello specchio che hai acquistato, ed attendeva soltanto una vanesia come te!>>
La cosa fece una risata agghiacciante e baritonale.
<<Si è nutrito di te sotto forma di serpente, ed ormai sei in suo possesso. Nessuno può salvarti Claire, e non appena verrà a prenderti, finirai all'Inferno, mentre noi venderemo lo specchio a qualcun altro e la storia si ripeterà in eterno!>>
In eterno. Quelle parole mi fecero rabbrividire. Tentai di controbattere dicendo che non ero a conoscenza della verità sullo specchio, che non avrei mai venduto la mia anima al diavolo, ma ormai era troppo tardi, e quel mostro dalla lingua viscida e biforcuta rise con forza, gelando il sangue nelle mie vene.
<<Il tuo destino è segnato.>>
Disse, e come d'incanto il suo volto iniziò a smaterializzarsi; misi a fuoco l'immagine, ma non riuscii a scorgere altro che i due volti dei coniugi sovrapporsi a quello del diabolico demone, ruotando così vorticosamente che tutto perse significato. Fui inghiottita da una nube nera e persi i sensi.
Quando aprii gli occhi notai che mi trovavo nuovamente nella mia dimora, era notte, e l'ambiente aveva assunto la forma di un vecchio castello spettrale. Percepivo qualcosa di spaventoso in quella casa, ed ogni singolo particolare sembrava osservarmi con occhi iniettati d'odio a malvagità. Il terrore si innescò nelle mie vene così repentinamente da farmi recedere più volte dall'alzarmi da terra, fino a che non udì quelle voci maligne nel mio cervello, e mi mossi.
-Lui verrà a prenderti fra tre ore, ma è già lì- dicevano i coniugi, deglutii e mi appoggiai alla libreria dato che ero ancora molto debole. Un sibilo tagliente irruppe nella stanza, rimasi immobile, di pietra. Era vicino, molto vicino. Rabbrividii al contatto con qualcosa di squamoso che si stava avvinghiando alla mia gamba, abbassai lo sguardo lentamente e vidi gli occhi rosso sangue del serpente fissi sui miei. Gridai e mossi veemente il polpaccio per liberarmi da quella morsa, corsi su per le scale marmoree ed entrai nella mia camera da letto. Dovevo distruggere lo specchio.
<<Maledetto!>>
Inveii quando il demone si manifestò attraverso quella superficie cristallina e sogghignò. Afferrai il comodino d'ebano accanto a letto e lo gettai sullo specchio... Ci fu un attimo di funesto silenzio mentre osservavo atterrita le schegge ricomporsi, -Non è possibile, dovrebbe essere in pezzi!- pensai, ma il malefico oggetto era di nuovo intatto, lucente come non mai.
<<No! No!>>
Gridai disperata gettandomi a terra, e sotto i miei occhi lacrimanti lo specchiò iniziò a grondare sangue scarlatto, che si riversò sul pavimento come un fiume impetuoso; ed all'interno il demone dai lunghi artigli rideva soddisfatto della mia rovina. Fu allora che capii quanto fosse folle e patetico il solo pensiero di riuscire a distruggere quel mobilio dell'inferno, e risi anch'io, sì, come una folle, così forte da provocarmi forti crampi allo stomaco. Per un istante credetti che le budella sarebbero esplose unendosi al lago rosso sul pavimento. Trascorsi più di un'ora fra il desiderio impellente di puntarmi una pistola alla tempia e quello di continuare a sragionare di fronte a ciò che mi attendeva, finché non vidi la macchina da scrivere. Era lì, carica d'inchiostro per riempire bianche pagine, così mi sono alzata, ho camminato su tutto quel rosso e mi sono seduta di fronte all'unica cosa che seppur inanimata poteva donarmi sollievo. Dovevo narrare la mia storia, a costo di scarnificarmi le dita per battere i tasti pur di scrivere tutto in tempo.
Ed ora sono qui, con un macabro corteo di demoniache ombre che danzano sotto la luce lunare, il serpente che ancora stringe la mia carne fino a renderla violacea, e si nutre della mia essenza. So che può sembrarvi il racconto di una pazza psicotica, ma è la realtà che mi ha tormentata, ed ora so quanto siano dannatamente veri i mostri. Loro esistono, vivono fra di noi, negli oggetti che meno temiamo, continuamente pronti a succhiarci via la linfa vitale. Sono quasi certa che anche questa lugubre ed impolverata macchina da scrivere sia viva, perché la sento respirare affannosamente, come stanca di dar luce ai miei pensieri; ed in questo istante continua a macchiare d'inchiostro il foglio, senza che io muova un dito, sono troppo stanca e debole per farlo.
23:55, soltanto cinque minuti.
23:56, ne mancano quattro.
23:57, le candele si sono spente e l'aria è diventata improvvisamente gelida e nauseante, macchiata dallo zolfo.
23:58, lo specchio si sta tramutando in una voragine nera, riesco a scorgere soltanto delle mani grigiastre che spuntano dall'oscurità come grossi ragni.
23:59, la voce è vicina, percepisco i suoi movimenti scomposti su quattro zampe, l'orrida figura è a pochi passi da me... Le unghie affilate stanno iniziando a graffiare la mia gola.
24:00, Astaroth è su di me, mi sento soffocare, i suoi occhi rossi hanno l'aspetto di due rubini non ancora intagliati, gemme uniforme e prive di lucentezza. I pensieri vengono proiettati sul foglio autonomamente, la macchina da scrivere ha davvero vita propria. Una nebbia oscura mi avvolge, La Cosa sta possedendo la mia anima. Non sono certa che morirò, ho l'impressione che diventerò una pedina nelle mani diaboliche del diavolo. E questo mi terrorizza, perché sarò costretta ad osservare il lento declino di migliaia di persone nei secoli, tutti coloro che acquisteranno quello specchio maledetto. Forse anche tu, che ora stai leggendo queste mie memorie, potresti essere dannato. Per l'eternità.
Claire Lefevre
La reincarnazione del male
La musica della celestiale arpa echeggiava nella stanza vuota, e le dita che suonavano erano così delicate ed eteree da dar l'impressione che le corde vibrassero da sole, mosse da vita propria.
Ogni cosa era al suo posto, ogni oggetto risposto accuratamente sulle mensole di vetro, e l'atmosfera era così serena da risultare agghiacciante nella sua perfetta pace.
L'angelica figura vestita di bianco si alzò come fluttuando, i passi non provocarono nessun rumore, nessun suono... Emise una risata serafica, prese il calice bronzeo e si squarciò la vena del polso con un pugnale dall'impugnatura di rubini, lasciando che il sangue fluisse lentamente all'interno del boccale.
La vita scorreva dal braccio candido e Selene, portatrice dello stesso nome della Luna e della luce, emise un respiro di appagamento quando intorno a lei divenne buio, e l'Inferno si manifestò... Il rituale stava per compiersi.
L'innocente diabolica creatura era il frutto dell'unione malsana di una donna votata a Satana ed il Maligno stesso, ed era destinata a divenire la distruttrice della terra, l'empia, la peccatrice, la figlia della perdizione.
Il profeta Daniele, e l'apostolo Giovanni nell'Apocalisse avevano annunciato la sua risalita dagli inferi, e quell'epoca funesta era giunta.
L'incanto della stanza svanì, ed intorno al sigillo del male sul quale giaceva Selene ormai quasi priva del proprio sangue, apparvero i suoi simili; innumerevoli demoni dalle ali scheletriche e gli occhi infuocati ruotavano accanto alla ragazza morente... I capelli dorati stavano lentamente perdendo vitalità, gli occhi come zaffiri erano vitrei, la pelle cerea e spenta, ma sulle labbra rosse si era delineato un inquietante sorriso di soddisfazione.
Astaroth, Lilith, Belphegor, Moloch e Belzebù si stringevano fra loro formando un'angosciante catena demoniaca, mentre gli altri spiriti minori aleggiavano sul corpo esangue recitando sacrileghi inni.
Un tuono squarciò l'atmosfera oscura, e Selene si innalzò nell'aria, mentre il sangue scorreva dalle vene e ricadeva infrangendosi a terra come rosse gocce...
Erano le tre del mattino del ventisette giugno, il diciottesimo anno di vita della creatura, e la profezia si era quasi compiuta.
Selene gridò di dolore percependo il marchio dei tre sei sulla sua nuca infuocarsi, poi aprì gli occhi iniettati di nero peccato, e sorrise maleficamente: finalmente era rinata.
Come galleggiando sopra la terra si unì alla macabra danza demoniaca, mentre le candele corvine infuocavano, ed il sigillo della forma di un pentagramma era ormai ricoperto di denso sangue.
Poi il suolo tremò ed una profonda spaccatura lasciò che La Bestia risalisse dall'oblio... Lucifero si manifestò in tutta la sua oscura lucentezza, e Selene si inginocchiò di fronte al padre, giurando di portare a termine il suo compito.
Dal giorno seguente il mondo subì un profondo mutamento; la gente iniziò ad uccidersi reciprocamente, dovunque passasse la donna veniva seminato l'odio ed il rancore, guerre e pestilenze dilagavano, e l'aridità di cuore ormai imperversava come un incurabile male.
Selene osservava costantemente dalla propria spettrale finestra il paesaggio, e rideva compiaciuta di fronte al fuoco che incendiava le foreste, la natura morta e la totale assenza di umanità.
“Oh, ventunesimo secolo, ormai il terzo Anticristo è giunto, tremate uomini, preparatevi alla fine.”
Diceva con gesti teatrali divertita dalla distruzione che andava portando, ed a ogni movimento delle candide dita, un uomo moriva, un altro si gettava nel vuoto, ed un altro ancora accettava consapevole la fine, attendendo il momento in cui Selene sarebbe giunta come un angelo caduto anche di fronte la sua porta.
Il terrore di quella fatale bellezza si avvinghiò ad i cuori della gente, senza lasciar spazio ad altro che all'orrore... Quel sentimento che fa tremare i denti e gelare il sangue stava prevalendo, come un siero fatale iniettato nelle vene delle vittime.
E quando la paura vige meschina sulla mente umana, essa trova rifugio soltanto nel male stesso, nella causa di quel battito accelerato.
Molti uomini si recarono nell'antro cupo e gelido di Selene implorando compassione, ma i più vennero falciati dalla morte e soltanto uno sopravvisse... Era un ragazzo giovane ed innocente, con grandi occhi scuri e capelli più sottili di fili di lana; l'Anticristo gli si avvicinò svolazzando nell'aria pesante, lo scrutò a fondo e lesse nel suo sguardo lo sgomento, l'angoscia più nera insita in ogni cellula. “E' perfetto”, mormorò la mostruosa donna dagli occhi sanguigni e le labbra scarlatte, accarezzò con gli artigli la pelle giovane e baciò l'essere umano atterrito contro il muro. Fu un unione di sangue, di brividi ed incubi che scorrevano nelle vene come spettri malevoli... Selene afferrò il giovane per la gola, poteva percepire il battito del cuore incessante, le sembrò che quell'organo vitale stesse per squarciargli il petto, e sorrise; sorrise diabolicamente, soddisfatta del terrore di cui si stava nutrendo. Poi lo lasciò, osservò la vittima rannicchiarsi come un cane intimorito in un angolino buio e gli parlò con voce metallica ed agghiacciante: “Temi la morte, non è così?” disse, ed il ragazzo con occhi gonfi di lacrime rispose affermativamente. “Magnifico!” esclamò lei, camminò lentamente verso il malcapitato e proseguì il discorso: “Ti salverai, se saprai aiutarmi”, disse soltanto, e da allora l'anima pura del giovane fu macchiata dal peccato.
Louis, questo era il nome del servo del Diavolo, eseguì ogni ordine dell'empia donna: le procurò teneri infanti come offerte sacrificali in nome del Maligno, squartò innocenti animali e diede alle fiamme innumerevoli Chiese pur di liberarsi dalla paura che attanagliava il suo corpo, pur di sentirsi finalmente forte.
Ma l'orrore non abbandona più la propria preda una volta posseduta, lascia solo entrare il delirio ed il rimorso.
Come un invasato, in un giorno oscurato dalle nuvole, Louis strappò dal ventre di una madre il figlio appena nato, intimandosi di non voltarsi mai né di scoprire il fagotto che aveva requisito, finché quei vagiti acuti e martorianti non si fecero troppo forti per essere ignorati. Il ragazzo sollevò appena la coperta che ricopriva il bambino, soltanto il tempo di assicurarsi che... Un brivido gli percorse la schiena, l'infante che aveva fra le mani era ricoperto di piaghe e pustole con ascessi sanguinanti, e piangeva, gridava per esprimere il dolore che affliggeva il suo corpo indifeso. Louis inorridì, sudò freddo e non si accorse della donna disperata alle sue spalle, che con violenza gli strappò il bambino infetto dalle braccia. “Lascia stare mio figlio!” gridò accarezzando affettuosamente il pargolo che cessò improvvisamente di piangere. “Tienilo pure, Selene ha bisogno di bambini sani!” rispose Louis fuggendo di fronte a quella visione di macabra sofferenza: la donna continuava a baciare ed abbracciare il figlio, senza curarsi dell'atroce morbo che presto sarebbe stato evidente anche sulla sua pelle, non le interessava, aveva bisogno soltanto di restare con il suo bambino per non aver più paura.
Louis camminò a lungo con il cuore in gola fino alla dimora di Selene, entrò e vide la fanciulla dai lunghi capelli dorati sdraiata sul divano bianco come la neve, a contemplare il lampadario di cristalli. Le si avvicinò con le gambe tremanti, si tolse la camicia biancastra e si inginocchiò pregandola di risparmiargli la vita: la peste si era diffusa anche nelle sue cellule.
Selene sorrise scoprendo i denti ed irruppe in una fragorosa risata dinanzi al flagello sul corpo del giovane, alzò la mano dai lunghi artigli e mosse lentamente le dita affusolate. “No! No! Non uccidermi! Ti prego! Non voglio morire!” gridava come un forsennato Louis, temendo ormai la morte più del calvario che avrebbe dovuto patire, perché sapeva che sarebbe sprofondato nelle fiamme dell'Inferno. Ma Selene adorava il terrore, e priva di pietà mosse il giovane nell'aria con il proprio potere, facendolo contorcere come un burattino... Louis percepì una fitta al petto, come se qualcuno gli stesse strappando via il cuore dalla gabbia toracica, singhiozzò spasmodicamente e pregò ancora per la salvezza, senza essere esaudito. Selene chiuse la mano in un pugno, e la vittima cadde sul pavimento freddo; sputò sangue, guardò atterrito l'Anticristo, e spirò dolorosamente con ancora negli occhi il bagliore del sorriso demoniaco di lei.
Dalla terra emersero gli arti delle anime infernali ed incatenarono nelle proprie grinfie il peccatore, mentre Selene riempiva il calice bronzeo della sua essenza: la paura.
Simile ad una ninfa danzò attorno al cadavere dalla pelle raggrinzita e spenta, e bevve tutto il male che era riuscita a prelevare... Il terrore era la sostanza primordiale, un liquido che fluiva dai corpi quando sopraggiungeva la morte, che si colorava a seconda dell'anima posseduta; quello di Louis era di un nero denso, un nero simbolo di codardia, di peccato mortale e malignità.
Selene si mosse con una crudele voluttà accanto ad i vetri della finestra, attendendo che qualche altro indegno umano bussasse alla sua porta, stringendo un'alleanza con il diavolo; ogni persona che periva le donava la linfa vitale per divenire sempre più potente, ma quando ad esser abbracciato dalla morte era un uomo abietto, l'Anticristo si rafforzava in maniera smisurata, trasformandosi nell'essere Supremo, il re dell'universo. Ed era ormai necessario poco perché Selene fosse indistruttibile. Molto poco.
La donna si sedette sulla sedia dai ricami dorati e si accinse a suonare l'arpa, la dolce melodia divenne cupa e straziante e, ad ogni tocco, le corde che vibravano grondavano cristalli di sangue scarlatto.
Ogni cosa era al suo posto, ogni oggetto risposto accuratamente sulle mensole di vetro, e l'atmosfera era così serena da risultare agghiacciante nella sua perfetta pace.
L'angelica figura vestita di bianco si alzò come fluttuando, i passi non provocarono nessun rumore, nessun suono... Emise una risata serafica, prese il calice bronzeo e si squarciò la vena del polso con un pugnale dall'impugnatura di rubini, lasciando che il sangue fluisse lentamente all'interno del boccale.
La vita scorreva dal braccio candido e Selene, portatrice dello stesso nome della Luna e della luce, emise un respiro di appagamento quando intorno a lei divenne buio, e l'Inferno si manifestò... Il rituale stava per compiersi.
L'innocente diabolica creatura era il frutto dell'unione malsana di una donna votata a Satana ed il Maligno stesso, ed era destinata a divenire la distruttrice della terra, l'empia, la peccatrice, la figlia della perdizione.
Il profeta Daniele, e l'apostolo Giovanni nell'Apocalisse avevano annunciato la sua risalita dagli inferi, e quell'epoca funesta era giunta.
L'incanto della stanza svanì, ed intorno al sigillo del male sul quale giaceva Selene ormai quasi priva del proprio sangue, apparvero i suoi simili; innumerevoli demoni dalle ali scheletriche e gli occhi infuocati ruotavano accanto alla ragazza morente... I capelli dorati stavano lentamente perdendo vitalità, gli occhi come zaffiri erano vitrei, la pelle cerea e spenta, ma sulle labbra rosse si era delineato un inquietante sorriso di soddisfazione.
Astaroth, Lilith, Belphegor, Moloch e Belzebù si stringevano fra loro formando un'angosciante catena demoniaca, mentre gli altri spiriti minori aleggiavano sul corpo esangue recitando sacrileghi inni.
Un tuono squarciò l'atmosfera oscura, e Selene si innalzò nell'aria, mentre il sangue scorreva dalle vene e ricadeva infrangendosi a terra come rosse gocce...
Erano le tre del mattino del ventisette giugno, il diciottesimo anno di vita della creatura, e la profezia si era quasi compiuta.
Selene gridò di dolore percependo il marchio dei tre sei sulla sua nuca infuocarsi, poi aprì gli occhi iniettati di nero peccato, e sorrise maleficamente: finalmente era rinata.
Come galleggiando sopra la terra si unì alla macabra danza demoniaca, mentre le candele corvine infuocavano, ed il sigillo della forma di un pentagramma era ormai ricoperto di denso sangue.
Poi il suolo tremò ed una profonda spaccatura lasciò che La Bestia risalisse dall'oblio... Lucifero si manifestò in tutta la sua oscura lucentezza, e Selene si inginocchiò di fronte al padre, giurando di portare a termine il suo compito.
Dal giorno seguente il mondo subì un profondo mutamento; la gente iniziò ad uccidersi reciprocamente, dovunque passasse la donna veniva seminato l'odio ed il rancore, guerre e pestilenze dilagavano, e l'aridità di cuore ormai imperversava come un incurabile male.
Selene osservava costantemente dalla propria spettrale finestra il paesaggio, e rideva compiaciuta di fronte al fuoco che incendiava le foreste, la natura morta e la totale assenza di umanità.
“Oh, ventunesimo secolo, ormai il terzo Anticristo è giunto, tremate uomini, preparatevi alla fine.”
Diceva con gesti teatrali divertita dalla distruzione che andava portando, ed a ogni movimento delle candide dita, un uomo moriva, un altro si gettava nel vuoto, ed un altro ancora accettava consapevole la fine, attendendo il momento in cui Selene sarebbe giunta come un angelo caduto anche di fronte la sua porta.
Il terrore di quella fatale bellezza si avvinghiò ad i cuori della gente, senza lasciar spazio ad altro che all'orrore... Quel sentimento che fa tremare i denti e gelare il sangue stava prevalendo, come un siero fatale iniettato nelle vene delle vittime.
E quando la paura vige meschina sulla mente umana, essa trova rifugio soltanto nel male stesso, nella causa di quel battito accelerato.
Molti uomini si recarono nell'antro cupo e gelido di Selene implorando compassione, ma i più vennero falciati dalla morte e soltanto uno sopravvisse... Era un ragazzo giovane ed innocente, con grandi occhi scuri e capelli più sottili di fili di lana; l'Anticristo gli si avvicinò svolazzando nell'aria pesante, lo scrutò a fondo e lesse nel suo sguardo lo sgomento, l'angoscia più nera insita in ogni cellula. “E' perfetto”, mormorò la mostruosa donna dagli occhi sanguigni e le labbra scarlatte, accarezzò con gli artigli la pelle giovane e baciò l'essere umano atterrito contro il muro. Fu un unione di sangue, di brividi ed incubi che scorrevano nelle vene come spettri malevoli... Selene afferrò il giovane per la gola, poteva percepire il battito del cuore incessante, le sembrò che quell'organo vitale stesse per squarciargli il petto, e sorrise; sorrise diabolicamente, soddisfatta del terrore di cui si stava nutrendo. Poi lo lasciò, osservò la vittima rannicchiarsi come un cane intimorito in un angolino buio e gli parlò con voce metallica ed agghiacciante: “Temi la morte, non è così?” disse, ed il ragazzo con occhi gonfi di lacrime rispose affermativamente. “Magnifico!” esclamò lei, camminò lentamente verso il malcapitato e proseguì il discorso: “Ti salverai, se saprai aiutarmi”, disse soltanto, e da allora l'anima pura del giovane fu macchiata dal peccato.
Louis, questo era il nome del servo del Diavolo, eseguì ogni ordine dell'empia donna: le procurò teneri infanti come offerte sacrificali in nome del Maligno, squartò innocenti animali e diede alle fiamme innumerevoli Chiese pur di liberarsi dalla paura che attanagliava il suo corpo, pur di sentirsi finalmente forte.
Ma l'orrore non abbandona più la propria preda una volta posseduta, lascia solo entrare il delirio ed il rimorso.
Come un invasato, in un giorno oscurato dalle nuvole, Louis strappò dal ventre di una madre il figlio appena nato, intimandosi di non voltarsi mai né di scoprire il fagotto che aveva requisito, finché quei vagiti acuti e martorianti non si fecero troppo forti per essere ignorati. Il ragazzo sollevò appena la coperta che ricopriva il bambino, soltanto il tempo di assicurarsi che... Un brivido gli percorse la schiena, l'infante che aveva fra le mani era ricoperto di piaghe e pustole con ascessi sanguinanti, e piangeva, gridava per esprimere il dolore che affliggeva il suo corpo indifeso. Louis inorridì, sudò freddo e non si accorse della donna disperata alle sue spalle, che con violenza gli strappò il bambino infetto dalle braccia. “Lascia stare mio figlio!” gridò accarezzando affettuosamente il pargolo che cessò improvvisamente di piangere. “Tienilo pure, Selene ha bisogno di bambini sani!” rispose Louis fuggendo di fronte a quella visione di macabra sofferenza: la donna continuava a baciare ed abbracciare il figlio, senza curarsi dell'atroce morbo che presto sarebbe stato evidente anche sulla sua pelle, non le interessava, aveva bisogno soltanto di restare con il suo bambino per non aver più paura.
Louis camminò a lungo con il cuore in gola fino alla dimora di Selene, entrò e vide la fanciulla dai lunghi capelli dorati sdraiata sul divano bianco come la neve, a contemplare il lampadario di cristalli. Le si avvicinò con le gambe tremanti, si tolse la camicia biancastra e si inginocchiò pregandola di risparmiargli la vita: la peste si era diffusa anche nelle sue cellule.
Selene sorrise scoprendo i denti ed irruppe in una fragorosa risata dinanzi al flagello sul corpo del giovane, alzò la mano dai lunghi artigli e mosse lentamente le dita affusolate. “No! No! Non uccidermi! Ti prego! Non voglio morire!” gridava come un forsennato Louis, temendo ormai la morte più del calvario che avrebbe dovuto patire, perché sapeva che sarebbe sprofondato nelle fiamme dell'Inferno. Ma Selene adorava il terrore, e priva di pietà mosse il giovane nell'aria con il proprio potere, facendolo contorcere come un burattino... Louis percepì una fitta al petto, come se qualcuno gli stesse strappando via il cuore dalla gabbia toracica, singhiozzò spasmodicamente e pregò ancora per la salvezza, senza essere esaudito. Selene chiuse la mano in un pugno, e la vittima cadde sul pavimento freddo; sputò sangue, guardò atterrito l'Anticristo, e spirò dolorosamente con ancora negli occhi il bagliore del sorriso demoniaco di lei.
Dalla terra emersero gli arti delle anime infernali ed incatenarono nelle proprie grinfie il peccatore, mentre Selene riempiva il calice bronzeo della sua essenza: la paura.
Simile ad una ninfa danzò attorno al cadavere dalla pelle raggrinzita e spenta, e bevve tutto il male che era riuscita a prelevare... Il terrore era la sostanza primordiale, un liquido che fluiva dai corpi quando sopraggiungeva la morte, che si colorava a seconda dell'anima posseduta; quello di Louis era di un nero denso, un nero simbolo di codardia, di peccato mortale e malignità.
Selene si mosse con una crudele voluttà accanto ad i vetri della finestra, attendendo che qualche altro indegno umano bussasse alla sua porta, stringendo un'alleanza con il diavolo; ogni persona che periva le donava la linfa vitale per divenire sempre più potente, ma quando ad esser abbracciato dalla morte era un uomo abietto, l'Anticristo si rafforzava in maniera smisurata, trasformandosi nell'essere Supremo, il re dell'universo. Ed era ormai necessario poco perché Selene fosse indistruttibile. Molto poco.
La donna si sedette sulla sedia dai ricami dorati e si accinse a suonare l'arpa, la dolce melodia divenne cupa e straziante e, ad ogni tocco, le corde che vibravano grondavano cristalli di sangue scarlatto.
Sogni infantili
Ho sempre creduto nei sogni, in quelle piccole follie della mente, sin da quando ero soltanto un bambino, un essere umano che si affacciava alla vita. Ricordo che amavo riempire i fogli bianchi con sgargianti colori pastello, cercare di creare un qualcosa, e quando non ci riuscivo mi isolavo nella mia stanza, lontano dal caotico mondo. Troppo rumore, troppi pensieri. Le mie ambizioni erano alte; immaginavo di trovare il siero dell'immortalità, di viaggiare, di possedere ville e terreni immensi... Ma tutti erano piuttosto cinici al riguardo, e se fino ai dieci anni venivo considerato un bambino eccessivamente fantasioso, durante l'adolescenza ai loro occhi apparivo come un ragazzo superficiale e per nulla concreto, perennemente aggrappato a scarni sogni infantili. Non smisi mai di disegnare e dipingere, era tutto ciò che per me davvero aveva importanza, ma i miei genitori continuavano a ripetermi che con l'arte non sarei arrivato da nessuna parte, e prima o poi avrei dovuto gettare le tele in un cassetto per lasciar spazio a noiosi trattati di medicina da esibire sulla scrivania. Sì, il loro più grande desiderio era che diventassi un chirurgo, o qualcosa del genere, ma l'idea di sezionare corpi e lavorare in un grigio ospedale mi disgustava, motivo per cui terminato il liceo non mi iscrissi all'Università. Loro mi detestarono per questo, dissero che se volevo morire di fame stavo percorrendo la giusta strada, e quando esposi per la prima volta i miei quadri in una mostra non vennero; ma questo me lo aspettavo. Non posso negare che avessero ragione, sicuramente lo stipendio di un medico sarebbe stato molto più alto di ciò che guadagnai vendendo disegni, ma io ero un artista, e non avrei permesso a nessuno di cambiarmi.
Non ottenni mai un gran successo, le mie tele furono vendute a basso prezzo, e questa esistenza priva di riconoscimento sociale all'inizio mi bastava, fino a che in una notte insonne non mi fermai a riflettere... Era giugno, o forse agosto, o... Dio, inizio a perdere la cognizione del tempo, dovrei affrettarmi a scrivere queste pagine di diario... Rammento con certezza che era uno di quei giorni estivi infernali, quando il caldo è così soffocante da farti mancare l'aria, da trasmetterti la sensazione di barcollare; e la mia mente vacillava, si struggeva al pensiero che dopo anni di prove ancora non fosse riuscita a superare gli altri grandi storici pittori, o almeno ad emularli, ed ancor più agghiacciante era la pila di bollette non pagate sul mio vecchio comodino. Mi avrebbero staccato ben presto la luce, ma non mi interessava, ciò che davvero bramavo era un'idea, una dannatissima idea che avrebbe condotto la mia mano sul bianco per donargli colore, forma... Allora mi alzai di scatto, con il volto madido di sudore, aprii il cassetto e trovai un mio vecchio diario scritto durante gli anni della prima adolescenza, che mi fece tremare... Esprimevo in quei fogli tutta la mia frustrazione, lo sconforto per non sentirmi mai accettato o apprezzato, ed infine mi soffermavo sul pensiero della morte, l'unico capace di farmi gelare il sangue nelle vene. “Che senso avrà la mia vita se non sarò capace di lasciare un segno? Cosa ne sarà di tutti i miei quadri, i miei sforzi, i miei sogni...” Queste parole mi provocarono un senso di amaro in gola.
Chiusi il diario impolverato, deglutii e fissai il vuoto; ne avrei fatto parte anche io, anche io sarei stato inghiottito dal nulla, e non mi era concesso conoscere l'ora o il giorno esatto, l'unica certezza era che il mio corpo si sarebbe disintegrato in un lento processo di decomposizione, e che probabilmente nessuno mi avrebbe ricordato. Le lettere del mio nome sarebbero andato via via sbiadendo sulla lapide grigiastra, e non sarebbero rimaste che ossa. Soltanto ossa.
La differenza fra adulti e bambini è che loro non sono stati ancora macchiati dal mondo, e per questo hanno la capacità di sognare, di immaginare un'esistenza diversa da ciò che sarà; io ero troppo stanco, troppo “vecchio” a venticinque anni per convincermi che avrei trovato l'elisir di lunga vita e sarei vissuto in eterno, così iniziai a temere il tempo più di ogni altra cosa, perché ogni secondo trascorso era la lancetta della mia vita che si avvicinava alla fine, e poi? Marcirai sotto terra insieme ai tuoi quadri, nessuno può vincere sulla morte, né sul materialismo dell'universo. Era una voce fastidiosa ed infima a martellarmi nella testa, ed io non riuscivo a scacciarla, ad opprimerla... Piansi per un po', mi alzai per scrutare il cielo notturno ed improvvisamente capii come avrei potuto sconfiggere la morte, ed arrivare dove nessun uomo era mai giunto. Il mio non era un volo Pindarico, ma un'idea. Finalmente.
Tornai a letto, lasciai che Morfeo mi avvolgesse nelle sue braccia e la mattina seguente iniziai la mia ascesa verso l'eterno attraverso gli occhi dell'infante che, un tempo lontano, ero stato. Presi tutti i miei quadri, li disposi in ordine cronologico sin dal primo disegno e li scrutai uno ad uno: erano poco più di cento, e tre giorni dopo divennero la metà. Sì, presi le tele che negli anni avevo dipinto cercando disperatamente di raggiungere la perfezione e le bruciai; le gettai nel camino e le guardai prendere fuoco, sciogliersi come cera... Eppure brillavano, stavolta i colori erano vivi, e le fiamme sembravano ombre tramutate in corpi traballanti.
Percepii il fuoco dell'ispirazione possedermi, e continuai ad afferrare le tele per tramutarle in arte. Arte vera.
Quando l'ecatombe dei miei quadri fu conclusa sprofondai a terra, ebbi una crisi esistenziale violenta, mi alzai di nuovo ed iniziai ad appendere per la casa i lavori restanti, fino a che non ne fu invasa... la dimora adesso aveva un'anima.
La terza fase fu riempire i muri di vernice fresca, di un rosso scarlatto come una rosa appena sbocciata; svuotai secchi interi per coprire i punti dove l'intonaco bianco ed asettico emergeva meschino, ed alla fine ci riuscii. In quel momento risi, esultai, mi sentii così maledettamente vivo che per poco il cuore non scoppiò nel mio petto, e mi addormentai sul pavimento, senza curarmi della vernice che macchiava copiosamente i miei vestiti.
Nei giorni successivi mi ripulii, feci in modo che tutto fosse perfettamente in ordine ed indossai gli abiti migliori che possedevo: era un'occasione speciale, irripetibile.
La corrente era assente, così accesi alcune candele bianche; presi la tela più grande che avessi mai acquistato e la fissai immobile, incerto sul futuro di quell'opera... Temetti di non esserne capace, di mollare da un momento all'altro ed arrendermi all'inevitabile crollo mentale che avrebbe seguito, ma mescolai con il pennello i brandelli di cenere che avevo raccolto dal camino con del colore ed iniziai a dipingere... Io dovevo superare i limiti, completare quel processo di ribellione che avevo iniziato dalla nascita, dal primo istante in cui avevo tentato di boccheggiare per risalire dall'abisso. Ed emergere.
Sudai freddo, la mano mi tremava, ma poi vidi che l'immagine stava prendendo vita, e continuai. Non staccai le dita dal pennello fino a quando la prima figura non fu completa, e rifiniti i contorni afferrai un vecchio pugnale tramandatomi da mio nonno; non avevo mai saputo cosa farmene, ma allora capii... Fissai la lama che brillava al di sopra della flebile candela, ed irradiava la tela di una luce argentata, quasi perlacea... Sospirai, chiusi gli occhi ed iniziai a recidere le vene dei miei polsi bianchi, lasciando che il sangue carminio scorresse sulla pelle e colasse in rivoli all'interno del vaso di cristallo. La carne iniziò a bruciare, ebbi l'impressione che pulsasse, come se il talento che mi scorreva nell'essenza vitale stesse gridando, finalmente pronto ad esplodere. Barcollai, temetti di cadere, e riflessa nello specchio vidi la mia immagine simile ad un fantasma; labbra bianche, pelle traslucida... Ma era giusto così, era quello il mio obiettivo.
Afferrai di nuovo il pennello quando il vaso fu colmo fino all'orlo, e con le ferite aperte continuai a dipingere. Con il trascorrere dei minuti la mia testa diveniva pesante, il mondo sembrava smaterializzarsi in milioni di piccoli pezzi, ma non potevo fermarmi, non potevo... Io... Le palpebre mi stanno calando, ma devo continuare a scrivere.
Pennellate forti, decise e taglienti, il mio lavoro era quasi terminato... Soltanto un ultimo particolare e... Eccolo lì, perfetto. Ci sono io, un mare di rosso che mi circonda, e milioni di altre figure informi che camminano dalla parte opposta, insofferenti. Oh sì, questa è l'opera che volevo, quella che cercavo dal primo vagito, e per portarla a termine è bastato consumare tutto me stesso, se solo l'avessi saputo prima, forse... Chissà, magari i miei genitori mi apprezzeranno e sapranno comprendere davvero la mia “ribellione”; loro, il mondo, tutti quelli che mi hanno sempre considerato un reietto della società potranno vedere ciò che si celava nella mia anima, assopito da troppo tempo. Hanno tentato di tagliarmi le ali, di strapparle pur di convincermi che qualsiasi cosa avessi fatto non sarei stato nessuno, che non avrei mai spiccato il volo... ma si sbagliavano. Sto volando adesso, in questa pozza di sangue, anche se non riesco più a muovere un muscolo e la penna presto cadrà dalle mie dita incapaci a sorreggerla; sto volando come mai ho fatto prima, e come nessun altro ha mai fatto. Sorrido, adesso il bambino che sognava di preparare la pozione dell'immortalità si è riscattato. Diceva che non sarebbe mai morto e che avrebbe compiuto imprese che nessun mortale aveva mai neanche ideato, ed aveva ragione. Il mio non è un semplice suicidio, c'è dell'Arte in tutto questo, c'è il senso di un'esistenza che ho trovato soltanto adesso, e posso ritenermi fortunato alla mia età; alcune persone lo cercano tutta la vita, ed alla fine se ne vanno incomplete. Non è necessario vivere in eterno, conquistare paesi o essere miliardari per superare i limiti umani, tutto ciò che davvero vale è trovare se stessi, anche se a volte può comportare un sacrificio... Sta in questo toccare il cielo.
Ora sono così stanco, non riesco più a tenere gli occhi aperti e le mani fremono nel desiderio di rilassarsi... Mi sento come uno spirito che ha trovato la pace, liberatosi dalle proprie vitali questioni irrisolte. Sto svanendo, la testa ricade scomposta sulla spalla... La debole fiamma della candela si spegne.
Non ottenni mai un gran successo, le mie tele furono vendute a basso prezzo, e questa esistenza priva di riconoscimento sociale all'inizio mi bastava, fino a che in una notte insonne non mi fermai a riflettere... Era giugno, o forse agosto, o... Dio, inizio a perdere la cognizione del tempo, dovrei affrettarmi a scrivere queste pagine di diario... Rammento con certezza che era uno di quei giorni estivi infernali, quando il caldo è così soffocante da farti mancare l'aria, da trasmetterti la sensazione di barcollare; e la mia mente vacillava, si struggeva al pensiero che dopo anni di prove ancora non fosse riuscita a superare gli altri grandi storici pittori, o almeno ad emularli, ed ancor più agghiacciante era la pila di bollette non pagate sul mio vecchio comodino. Mi avrebbero staccato ben presto la luce, ma non mi interessava, ciò che davvero bramavo era un'idea, una dannatissima idea che avrebbe condotto la mia mano sul bianco per donargli colore, forma... Allora mi alzai di scatto, con il volto madido di sudore, aprii il cassetto e trovai un mio vecchio diario scritto durante gli anni della prima adolescenza, che mi fece tremare... Esprimevo in quei fogli tutta la mia frustrazione, lo sconforto per non sentirmi mai accettato o apprezzato, ed infine mi soffermavo sul pensiero della morte, l'unico capace di farmi gelare il sangue nelle vene. “Che senso avrà la mia vita se non sarò capace di lasciare un segno? Cosa ne sarà di tutti i miei quadri, i miei sforzi, i miei sogni...” Queste parole mi provocarono un senso di amaro in gola.
Chiusi il diario impolverato, deglutii e fissai il vuoto; ne avrei fatto parte anche io, anche io sarei stato inghiottito dal nulla, e non mi era concesso conoscere l'ora o il giorno esatto, l'unica certezza era che il mio corpo si sarebbe disintegrato in un lento processo di decomposizione, e che probabilmente nessuno mi avrebbe ricordato. Le lettere del mio nome sarebbero andato via via sbiadendo sulla lapide grigiastra, e non sarebbero rimaste che ossa. Soltanto ossa.
La differenza fra adulti e bambini è che loro non sono stati ancora macchiati dal mondo, e per questo hanno la capacità di sognare, di immaginare un'esistenza diversa da ciò che sarà; io ero troppo stanco, troppo “vecchio” a venticinque anni per convincermi che avrei trovato l'elisir di lunga vita e sarei vissuto in eterno, così iniziai a temere il tempo più di ogni altra cosa, perché ogni secondo trascorso era la lancetta della mia vita che si avvicinava alla fine, e poi? Marcirai sotto terra insieme ai tuoi quadri, nessuno può vincere sulla morte, né sul materialismo dell'universo. Era una voce fastidiosa ed infima a martellarmi nella testa, ed io non riuscivo a scacciarla, ad opprimerla... Piansi per un po', mi alzai per scrutare il cielo notturno ed improvvisamente capii come avrei potuto sconfiggere la morte, ed arrivare dove nessun uomo era mai giunto. Il mio non era un volo Pindarico, ma un'idea. Finalmente.
Tornai a letto, lasciai che Morfeo mi avvolgesse nelle sue braccia e la mattina seguente iniziai la mia ascesa verso l'eterno attraverso gli occhi dell'infante che, un tempo lontano, ero stato. Presi tutti i miei quadri, li disposi in ordine cronologico sin dal primo disegno e li scrutai uno ad uno: erano poco più di cento, e tre giorni dopo divennero la metà. Sì, presi le tele che negli anni avevo dipinto cercando disperatamente di raggiungere la perfezione e le bruciai; le gettai nel camino e le guardai prendere fuoco, sciogliersi come cera... Eppure brillavano, stavolta i colori erano vivi, e le fiamme sembravano ombre tramutate in corpi traballanti.
Percepii il fuoco dell'ispirazione possedermi, e continuai ad afferrare le tele per tramutarle in arte. Arte vera.
Quando l'ecatombe dei miei quadri fu conclusa sprofondai a terra, ebbi una crisi esistenziale violenta, mi alzai di nuovo ed iniziai ad appendere per la casa i lavori restanti, fino a che non ne fu invasa... la dimora adesso aveva un'anima.
La terza fase fu riempire i muri di vernice fresca, di un rosso scarlatto come una rosa appena sbocciata; svuotai secchi interi per coprire i punti dove l'intonaco bianco ed asettico emergeva meschino, ed alla fine ci riuscii. In quel momento risi, esultai, mi sentii così maledettamente vivo che per poco il cuore non scoppiò nel mio petto, e mi addormentai sul pavimento, senza curarmi della vernice che macchiava copiosamente i miei vestiti.
Nei giorni successivi mi ripulii, feci in modo che tutto fosse perfettamente in ordine ed indossai gli abiti migliori che possedevo: era un'occasione speciale, irripetibile.
La corrente era assente, così accesi alcune candele bianche; presi la tela più grande che avessi mai acquistato e la fissai immobile, incerto sul futuro di quell'opera... Temetti di non esserne capace, di mollare da un momento all'altro ed arrendermi all'inevitabile crollo mentale che avrebbe seguito, ma mescolai con il pennello i brandelli di cenere che avevo raccolto dal camino con del colore ed iniziai a dipingere... Io dovevo superare i limiti, completare quel processo di ribellione che avevo iniziato dalla nascita, dal primo istante in cui avevo tentato di boccheggiare per risalire dall'abisso. Ed emergere.
Sudai freddo, la mano mi tremava, ma poi vidi che l'immagine stava prendendo vita, e continuai. Non staccai le dita dal pennello fino a quando la prima figura non fu completa, e rifiniti i contorni afferrai un vecchio pugnale tramandatomi da mio nonno; non avevo mai saputo cosa farmene, ma allora capii... Fissai la lama che brillava al di sopra della flebile candela, ed irradiava la tela di una luce argentata, quasi perlacea... Sospirai, chiusi gli occhi ed iniziai a recidere le vene dei miei polsi bianchi, lasciando che il sangue carminio scorresse sulla pelle e colasse in rivoli all'interno del vaso di cristallo. La carne iniziò a bruciare, ebbi l'impressione che pulsasse, come se il talento che mi scorreva nell'essenza vitale stesse gridando, finalmente pronto ad esplodere. Barcollai, temetti di cadere, e riflessa nello specchio vidi la mia immagine simile ad un fantasma; labbra bianche, pelle traslucida... Ma era giusto così, era quello il mio obiettivo.
Afferrai di nuovo il pennello quando il vaso fu colmo fino all'orlo, e con le ferite aperte continuai a dipingere. Con il trascorrere dei minuti la mia testa diveniva pesante, il mondo sembrava smaterializzarsi in milioni di piccoli pezzi, ma non potevo fermarmi, non potevo... Io... Le palpebre mi stanno calando, ma devo continuare a scrivere.
Pennellate forti, decise e taglienti, il mio lavoro era quasi terminato... Soltanto un ultimo particolare e... Eccolo lì, perfetto. Ci sono io, un mare di rosso che mi circonda, e milioni di altre figure informi che camminano dalla parte opposta, insofferenti. Oh sì, questa è l'opera che volevo, quella che cercavo dal primo vagito, e per portarla a termine è bastato consumare tutto me stesso, se solo l'avessi saputo prima, forse... Chissà, magari i miei genitori mi apprezzeranno e sapranno comprendere davvero la mia “ribellione”; loro, il mondo, tutti quelli che mi hanno sempre considerato un reietto della società potranno vedere ciò che si celava nella mia anima, assopito da troppo tempo. Hanno tentato di tagliarmi le ali, di strapparle pur di convincermi che qualsiasi cosa avessi fatto non sarei stato nessuno, che non avrei mai spiccato il volo... ma si sbagliavano. Sto volando adesso, in questa pozza di sangue, anche se non riesco più a muovere un muscolo e la penna presto cadrà dalle mie dita incapaci a sorreggerla; sto volando come mai ho fatto prima, e come nessun altro ha mai fatto. Sorrido, adesso il bambino che sognava di preparare la pozione dell'immortalità si è riscattato. Diceva che non sarebbe mai morto e che avrebbe compiuto imprese che nessun mortale aveva mai neanche ideato, ed aveva ragione. Il mio non è un semplice suicidio, c'è dell'Arte in tutto questo, c'è il senso di un'esistenza che ho trovato soltanto adesso, e posso ritenermi fortunato alla mia età; alcune persone lo cercano tutta la vita, ed alla fine se ne vanno incomplete. Non è necessario vivere in eterno, conquistare paesi o essere miliardari per superare i limiti umani, tutto ciò che davvero vale è trovare se stessi, anche se a volte può comportare un sacrificio... Sta in questo toccare il cielo.
Ora sono così stanco, non riesco più a tenere gli occhi aperti e le mani fremono nel desiderio di rilassarsi... Mi sento come uno spirito che ha trovato la pace, liberatosi dalle proprie vitali questioni irrisolte. Sto svanendo, la testa ricade scomposta sulla spalla... La debole fiamma della candela si spegne.
Proiettili
C'è che dice che
l'anima di ogni individuo possieda un colore differente, che essa sia
assolutamente indistinguibile; io credo che ci sia del nero, una
piccola macchia che tende ad espandersi con riluttante lentezza, fino
ad invadere l'intera essenza primordiale.
Dio, mi domando il perché stia sprecando tempo con queste banali riflessioni... Dovrei bere un'altra birra, fumare una sigaretta, e sprofondare sotto le coperte anziché pensare; ma no, invece sono ancora seduto qui, a convincere me stesso di avere tempo per modificare l'arco degli eventi, per non sentirmi così dannatamente mostruoso.
Sì, da bambino amavo rimanere a giocare fuori fino a tardi, da adolescente ero un ribelle con tendenze tossico-suicide, ma non avrei mai immaginato di cadere così in basso... No, non avrei mai pensato di sapere uccidere.
Terminati gli studi superiori i miei genitori desideravano che proseguissi l'attività di famiglia, dicevano che era il loro desiderio più grande, ma io ero più che inorridito dall'idea di fare a pezzi animali per venderli in una schifosissima macelleria, così non li ho ascoltati. Al diavolo, io voglio diventare qualcuno, essere diverso da loro! Ho pensato, e mi sono iscritto ad Ingegneria; all'inizio sembrava la facoltà apposita per me, ma poi ho perso interesse come per tutte le cose, ed ho mollato. E' seguito un periodo di depressione e droghe forti; avevo bisogno di sentirmi vivo, di oltrepassare il confine fra il reale e l'illusorio, il distorto... Percepivo quelle sostanze nelle vene, nel sangue, e l'ebrezza mi rendeva come invincibile, al di sopra di tutto ciò che mi circondava. Eppure non fu sufficiente, mi sentii voracemente inglobato in qualcosa che non mi provocava più alcuna soddisfazione, e decisi di smettere. Mi ripulii, ruppi i contatti con le compagnie sbagliate ed entrai in polizia; inusuale, no? Ricordo che i miei genitori mi scrutarono allibiti, poi dissero qualcosa come:<<Capirai che non è la tua strada.>> Mi infuriai, gli sbattei la porta in faccia ed andai via di casa, alloggiando in una piccola proprietà di famiglia disabitata da anni. Non riuscivo a comprendere il perché non si sforzassero neanche di accettarmi per una volta nella vita, io ero certo di ciò che stavo facendo e... Adesso è inutile rimurginare, ero il loro unico figlio e mi conoscevano abbastanza bene da sapere che ero incontentabile, e che questo mi avrebbe distrutto.
La vita da poliziotto mi parve magnifica i primi tempi, ma poi quell'ardore svanì e mi ritrovai nuovamente annoiato, sul punto di abbandonare la mia carriera nascente per inseguire chissà cos'altro... Pensai di tornare all'Università e di iscrivermi a Medicina, oppure di gettarmi nella recitazione o... Avrei venduto la mia anima pur di riuscire ad essere qualcuno!
Fu proprio quando ero sul punto di mandare all'aria tutto che la mia esistenza fu stravolta, così come il mio spirito.
Era una notte di fine estate, quando la brezza calda inizia a trasformarsi in vento gelido, capace di penetrarti fino nelle ossa, ed il cielo era nuvoloso, privo di stelle. Stavo guidando la volante in un vicolo sperduto quando mi chiamarono ordinandomi di girare immediatamente verso la gioielleria vicina poiché la stavano derubando. Ricordo di aver spinto l'acceleratore con l'adrenalina che mi pervadeva ogni singola cellula, in fibrillazione al pensiero che per la prima volta sarei potuto davvero entrare nel mio ruolo. Scesi dall'automobile, sfilai la pistola dal fodero e la puntai contro il rapinatore che furtivo stava tentando di fuggire; lui alzò le mani mentre le mie tremavano impugnando l'arma pesante... Stavo sudando freddo.
L'uomo notò la mia scarsa esperienza sul campo ed iniziò a correre all'impazzata, come una preda inseguita da una famelica bestia... Premetti il grilletto. BAM! Un colpo assordante sembrò spaccarmi i timpani... BAM! Un altro sparo, stavolta l'ultimo. L'aria divenne carica di fumo grigiastro e soffocante, la pistola mi scivolò dalle dita formicolanti e cadde a terra con un tonfo... Impiegai alcuni istanti a muovere le gambe semi-paralizzate, poi mi avvicinai trascinandomi al rapinatore; il cuore mi stava esplodendo ed il mio viso era divenuto rosso, paonazzo. Trassi un sospiro a pieni polmoni, mi inginocchiai accanto al corpo e lo voltai: era ancora vivo. <<La mia famiglia, loro... Dove finiranno, dove...>> Emise un singhiozzo strozzato, ed i suoi occhi ricolmi di lacrime lentamente divennero vitrei, spenti.
Rimasi sull'asfalto immobile, immerso nel sangue del cadavere che intanto sgorgava incessante, fino a creare una pozza vermiglia. Pensai che l'uomo stesse mentendo, che la melliflua storia della famiglia fosse una falsa per... Per... Per fare cosa? Cristo, stava spirando! Cosa vuoi che dovesse inventarsi? Sei un assassino! Un assassino! Mi premetti le tempie per far cessare quel fantasma, quella voce nella mia testa, ma non ne fui capace. Assassino! Assassino! Volevi andare oltre? Superare i limiti? Ecco, ci sei riuscito! Afferrai l'arma dell'uomo, no! Lui mi avrebbe ucciso se non avessi sparato, lui... Era una pistola giocattolo.
Allora risi, sì, risi fino a che la milza non iniziò a bruciarmi al di sotto della carne, e piansi, e piansi ancora.
La moglie del rapinatore si gettò dal balcone poco dopo a causa dei debiti e l'incapacità di nutrire il figlio di sette anni, il bambino fu dato in mano agli assistenti sociali ed io me la cavai poiché il caso fu archiviato per legittima difesa... Nessuno mi chiese il perché non gli avessi sparato ad una gamba anziché al petto.
Ed ora eccomi qui, ho dato le dimissioni poche settimane fa, e per la prima volta nella mia vita mi trovo a fare la cosa giusta: il nulla. Basta passare da un impiego ad un altro, basta droghe e basta tutto lo schifo di cui mi sono circondato da sempre, ma soprattutto basta al mio nocivo ego. Sono stato capace di inaridire tutto ciò che possedevo, di avvelenarlo soltanto per il desiderio di entrare nel ciclone, di contraddire i miei genitori ed arrivare in alto. In alto? Oh sì, sono arrivato fino al Sole, l'ho toccato con la punta del dito e poi sono caduto giù, verso l'abisso più orrido e nero... Ed ora cosa posseggo? Non ho amici, tutti quelli che avevo ora si staranno sballando con chissà quale nuova droga; non ho una compagna, perché il bisogno di circondarmi di donne ha fatto sì che quelle si allontanassero; non ho una famiglia, perché i miei genitori sono disgustati dall'avermi come figlio, anche se non lo dicono, e non lo faranno mai.
Non ho intenzione di menzionare il lavoro o il denaro, ormai non ha più importanza... Mi sono rimasti pochi centesimi, con i quali non potrò neanche comprare i miei sonniferi... Pazienza, non dormirò. E' da quella notte che non riesco a chiudere occhio senza che l'immagine del corpo esangue mi si conficchi nel cranio, ed allora mi alzo dal letto e comincio a bere fino a quando non sento di dover rigettare tutto l'alcool che ho in circolo, e la giornata ricomincia come se girasse vorticosamente su se stessa.
E' strano, fino a due mesi fa ero certo che avrei raggiunto l'apice del successo, che avrei compiuto qualcosa di straordinario sebbene non fossi consapevole del modo in cui l'avrei raggiunto; adesso vorrei soltanto riposare in eterno. Ci vuole così poco per spalancare le ali, è un gesto che compiamo da quando iniziamo a pensare a chi saremo, dove andremo... Ma il sogno non sazia la sete, e non riesce a farlo neanche l'obiettivo raggiunto, perché si desidera sempre altro. Spesso non ha un nome, è soltanto una proiezione, un ologramma informe della vanità umana... Diavolo, dovrei sentirmi soddisfatto, sono stato capace di appropriami della vita di due persone, di spremere due anime, ed una senza neanche averla mai incontrata; sì, è questo il confine fra il bene ed il male, fra l'ambizione e l'assenza di coscienza, ed io l'ho superato. Chi avrebbe mai detto che sarebbe stato così semplice farmi smettere di inseguire l'indefinito... Un proiettile sparato a chissà quanti chilometri orari contro un uomo innocente, e le mie ali sono state strappate; ma ancora sanguinano, e credo che non smetteranno fino a quando non mi deciderò ad ingerire tutte le capsule per il sonno in una volta sola, mettendo fine alla mia squallida vita. Dovrei? Forse, anzi, probabilmente, ma so che non lo farò, ed è questa la mia maledizione: vivere nel rimorso, nella consapevolezza di essere entrato nel pieno del ciclone e non poter più uscirne vivo... Oh sì, rimarrò seduto su questa sedia scricchiolante, a riflettere sui miei peccati, sull'errore incancellabile di non aver ascoltato mai i miei genitori; avevano accettato che frequentassi l'Università, che entrassi in polizia, che tornassi così tardi la notte... Loro desideravano soltanto che trovassi la mia strada con umiltà e ragionevolezza, che non mi lasciassi circondare da smisurate ambizioni e superbia, ed io... Io mi sono perso.
Gli esseri umani sono come specchi rotti, distrutti, imperfetti... Temono i propri demoni, gli scheletri che custodiscono gelosamente nell'armadio, senza accorgersi che quei mostri dal sorriso delirante non sono altro che il loro riflesso interiore. No, non si rendono conto di nulla ed ogni giorno osservano narcisisticamente la propria immagine, per poi uscire e gettarsi nel caos della vita. Ma per me è diverso, adesso ho sperimentato sulla mia pelle le conseguenze dell'insoddisfazione, e non sono più capace di scrutarmi senza rabbrividire e vedermi coperto di sangue fino al collo.
E' quasi l'alba, vedo dei lievi spiragli di luce penetrare le persiane abbassate e finire sulle mie gambe. Sono quasi certo che fra poco sarò sopraffatto da una delle mie patetiche crisi ed allora non potrò fare altro che inabissarmi nel letto, fingendo che un nuovo giorno non sia mai arrivato... Ma mi terrorizzano quegli occhi, quelle orbite intrise di orrore da far star male. Un crampo allo stomaco, l'ennesimo da quella notte, e non certo l'ultimo. Sto tremando, il sudore gelido cola dalle mie tempie, ed improvvisamente ho paura; inizio a domandarmi cosa ci sia dopo questa insulsa esistenza, e forse l'idea dell'Inferno mi tocca, forse ne sono atterrito... Sì, è per questo che ancora non mi sono tolto la vita, non perché intraveda una possibilità di salvezza o di riscatto. Assassino, stupido esserino ambizioso e ribelle. Ti avevano avvertito che non era la tua strada... La voce interiore mi deride, si prende gioco di me con tono subdolo e crudele, ed io stringo i denti per tentare di non ascoltarla... Ma non ci riesco. E poi c'è quell'uomo, ed il suo sangue sui miei vestiti, ed i miei genitori, ed io che mi annoio e... Un bicchiere di liquore potrà aiutarmi, ne sono sicuro. Uno. Soltanto uno.
Dio, mi domando il perché stia sprecando tempo con queste banali riflessioni... Dovrei bere un'altra birra, fumare una sigaretta, e sprofondare sotto le coperte anziché pensare; ma no, invece sono ancora seduto qui, a convincere me stesso di avere tempo per modificare l'arco degli eventi, per non sentirmi così dannatamente mostruoso.
Sì, da bambino amavo rimanere a giocare fuori fino a tardi, da adolescente ero un ribelle con tendenze tossico-suicide, ma non avrei mai immaginato di cadere così in basso... No, non avrei mai pensato di sapere uccidere.
Terminati gli studi superiori i miei genitori desideravano che proseguissi l'attività di famiglia, dicevano che era il loro desiderio più grande, ma io ero più che inorridito dall'idea di fare a pezzi animali per venderli in una schifosissima macelleria, così non li ho ascoltati. Al diavolo, io voglio diventare qualcuno, essere diverso da loro! Ho pensato, e mi sono iscritto ad Ingegneria; all'inizio sembrava la facoltà apposita per me, ma poi ho perso interesse come per tutte le cose, ed ho mollato. E' seguito un periodo di depressione e droghe forti; avevo bisogno di sentirmi vivo, di oltrepassare il confine fra il reale e l'illusorio, il distorto... Percepivo quelle sostanze nelle vene, nel sangue, e l'ebrezza mi rendeva come invincibile, al di sopra di tutto ciò che mi circondava. Eppure non fu sufficiente, mi sentii voracemente inglobato in qualcosa che non mi provocava più alcuna soddisfazione, e decisi di smettere. Mi ripulii, ruppi i contatti con le compagnie sbagliate ed entrai in polizia; inusuale, no? Ricordo che i miei genitori mi scrutarono allibiti, poi dissero qualcosa come:<<Capirai che non è la tua strada.>> Mi infuriai, gli sbattei la porta in faccia ed andai via di casa, alloggiando in una piccola proprietà di famiglia disabitata da anni. Non riuscivo a comprendere il perché non si sforzassero neanche di accettarmi per una volta nella vita, io ero certo di ciò che stavo facendo e... Adesso è inutile rimurginare, ero il loro unico figlio e mi conoscevano abbastanza bene da sapere che ero incontentabile, e che questo mi avrebbe distrutto.
La vita da poliziotto mi parve magnifica i primi tempi, ma poi quell'ardore svanì e mi ritrovai nuovamente annoiato, sul punto di abbandonare la mia carriera nascente per inseguire chissà cos'altro... Pensai di tornare all'Università e di iscrivermi a Medicina, oppure di gettarmi nella recitazione o... Avrei venduto la mia anima pur di riuscire ad essere qualcuno!
Fu proprio quando ero sul punto di mandare all'aria tutto che la mia esistenza fu stravolta, così come il mio spirito.
Era una notte di fine estate, quando la brezza calda inizia a trasformarsi in vento gelido, capace di penetrarti fino nelle ossa, ed il cielo era nuvoloso, privo di stelle. Stavo guidando la volante in un vicolo sperduto quando mi chiamarono ordinandomi di girare immediatamente verso la gioielleria vicina poiché la stavano derubando. Ricordo di aver spinto l'acceleratore con l'adrenalina che mi pervadeva ogni singola cellula, in fibrillazione al pensiero che per la prima volta sarei potuto davvero entrare nel mio ruolo. Scesi dall'automobile, sfilai la pistola dal fodero e la puntai contro il rapinatore che furtivo stava tentando di fuggire; lui alzò le mani mentre le mie tremavano impugnando l'arma pesante... Stavo sudando freddo.
L'uomo notò la mia scarsa esperienza sul campo ed iniziò a correre all'impazzata, come una preda inseguita da una famelica bestia... Premetti il grilletto. BAM! Un colpo assordante sembrò spaccarmi i timpani... BAM! Un altro sparo, stavolta l'ultimo. L'aria divenne carica di fumo grigiastro e soffocante, la pistola mi scivolò dalle dita formicolanti e cadde a terra con un tonfo... Impiegai alcuni istanti a muovere le gambe semi-paralizzate, poi mi avvicinai trascinandomi al rapinatore; il cuore mi stava esplodendo ed il mio viso era divenuto rosso, paonazzo. Trassi un sospiro a pieni polmoni, mi inginocchiai accanto al corpo e lo voltai: era ancora vivo. <<La mia famiglia, loro... Dove finiranno, dove...>> Emise un singhiozzo strozzato, ed i suoi occhi ricolmi di lacrime lentamente divennero vitrei, spenti.
Rimasi sull'asfalto immobile, immerso nel sangue del cadavere che intanto sgorgava incessante, fino a creare una pozza vermiglia. Pensai che l'uomo stesse mentendo, che la melliflua storia della famiglia fosse una falsa per... Per... Per fare cosa? Cristo, stava spirando! Cosa vuoi che dovesse inventarsi? Sei un assassino! Un assassino! Mi premetti le tempie per far cessare quel fantasma, quella voce nella mia testa, ma non ne fui capace. Assassino! Assassino! Volevi andare oltre? Superare i limiti? Ecco, ci sei riuscito! Afferrai l'arma dell'uomo, no! Lui mi avrebbe ucciso se non avessi sparato, lui... Era una pistola giocattolo.
Allora risi, sì, risi fino a che la milza non iniziò a bruciarmi al di sotto della carne, e piansi, e piansi ancora.
La moglie del rapinatore si gettò dal balcone poco dopo a causa dei debiti e l'incapacità di nutrire il figlio di sette anni, il bambino fu dato in mano agli assistenti sociali ed io me la cavai poiché il caso fu archiviato per legittima difesa... Nessuno mi chiese il perché non gli avessi sparato ad una gamba anziché al petto.
Ed ora eccomi qui, ho dato le dimissioni poche settimane fa, e per la prima volta nella mia vita mi trovo a fare la cosa giusta: il nulla. Basta passare da un impiego ad un altro, basta droghe e basta tutto lo schifo di cui mi sono circondato da sempre, ma soprattutto basta al mio nocivo ego. Sono stato capace di inaridire tutto ciò che possedevo, di avvelenarlo soltanto per il desiderio di entrare nel ciclone, di contraddire i miei genitori ed arrivare in alto. In alto? Oh sì, sono arrivato fino al Sole, l'ho toccato con la punta del dito e poi sono caduto giù, verso l'abisso più orrido e nero... Ed ora cosa posseggo? Non ho amici, tutti quelli che avevo ora si staranno sballando con chissà quale nuova droga; non ho una compagna, perché il bisogno di circondarmi di donne ha fatto sì che quelle si allontanassero; non ho una famiglia, perché i miei genitori sono disgustati dall'avermi come figlio, anche se non lo dicono, e non lo faranno mai.
Non ho intenzione di menzionare il lavoro o il denaro, ormai non ha più importanza... Mi sono rimasti pochi centesimi, con i quali non potrò neanche comprare i miei sonniferi... Pazienza, non dormirò. E' da quella notte che non riesco a chiudere occhio senza che l'immagine del corpo esangue mi si conficchi nel cranio, ed allora mi alzo dal letto e comincio a bere fino a quando non sento di dover rigettare tutto l'alcool che ho in circolo, e la giornata ricomincia come se girasse vorticosamente su se stessa.
E' strano, fino a due mesi fa ero certo che avrei raggiunto l'apice del successo, che avrei compiuto qualcosa di straordinario sebbene non fossi consapevole del modo in cui l'avrei raggiunto; adesso vorrei soltanto riposare in eterno. Ci vuole così poco per spalancare le ali, è un gesto che compiamo da quando iniziamo a pensare a chi saremo, dove andremo... Ma il sogno non sazia la sete, e non riesce a farlo neanche l'obiettivo raggiunto, perché si desidera sempre altro. Spesso non ha un nome, è soltanto una proiezione, un ologramma informe della vanità umana... Diavolo, dovrei sentirmi soddisfatto, sono stato capace di appropriami della vita di due persone, di spremere due anime, ed una senza neanche averla mai incontrata; sì, è questo il confine fra il bene ed il male, fra l'ambizione e l'assenza di coscienza, ed io l'ho superato. Chi avrebbe mai detto che sarebbe stato così semplice farmi smettere di inseguire l'indefinito... Un proiettile sparato a chissà quanti chilometri orari contro un uomo innocente, e le mie ali sono state strappate; ma ancora sanguinano, e credo che non smetteranno fino a quando non mi deciderò ad ingerire tutte le capsule per il sonno in una volta sola, mettendo fine alla mia squallida vita. Dovrei? Forse, anzi, probabilmente, ma so che non lo farò, ed è questa la mia maledizione: vivere nel rimorso, nella consapevolezza di essere entrato nel pieno del ciclone e non poter più uscirne vivo... Oh sì, rimarrò seduto su questa sedia scricchiolante, a riflettere sui miei peccati, sull'errore incancellabile di non aver ascoltato mai i miei genitori; avevano accettato che frequentassi l'Università, che entrassi in polizia, che tornassi così tardi la notte... Loro desideravano soltanto che trovassi la mia strada con umiltà e ragionevolezza, che non mi lasciassi circondare da smisurate ambizioni e superbia, ed io... Io mi sono perso.
Gli esseri umani sono come specchi rotti, distrutti, imperfetti... Temono i propri demoni, gli scheletri che custodiscono gelosamente nell'armadio, senza accorgersi che quei mostri dal sorriso delirante non sono altro che il loro riflesso interiore. No, non si rendono conto di nulla ed ogni giorno osservano narcisisticamente la propria immagine, per poi uscire e gettarsi nel caos della vita. Ma per me è diverso, adesso ho sperimentato sulla mia pelle le conseguenze dell'insoddisfazione, e non sono più capace di scrutarmi senza rabbrividire e vedermi coperto di sangue fino al collo.
E' quasi l'alba, vedo dei lievi spiragli di luce penetrare le persiane abbassate e finire sulle mie gambe. Sono quasi certo che fra poco sarò sopraffatto da una delle mie patetiche crisi ed allora non potrò fare altro che inabissarmi nel letto, fingendo che un nuovo giorno non sia mai arrivato... Ma mi terrorizzano quegli occhi, quelle orbite intrise di orrore da far star male. Un crampo allo stomaco, l'ennesimo da quella notte, e non certo l'ultimo. Sto tremando, il sudore gelido cola dalle mie tempie, ed improvvisamente ho paura; inizio a domandarmi cosa ci sia dopo questa insulsa esistenza, e forse l'idea dell'Inferno mi tocca, forse ne sono atterrito... Sì, è per questo che ancora non mi sono tolto la vita, non perché intraveda una possibilità di salvezza o di riscatto. Assassino, stupido esserino ambizioso e ribelle. Ti avevano avvertito che non era la tua strada... La voce interiore mi deride, si prende gioco di me con tono subdolo e crudele, ed io stringo i denti per tentare di non ascoltarla... Ma non ci riesco. E poi c'è quell'uomo, ed il suo sangue sui miei vestiti, ed i miei genitori, ed io che mi annoio e... Un bicchiere di liquore potrà aiutarmi, ne sono sicuro. Uno. Soltanto uno.
La maledizione di Halloween
L'avevo lasciato lì: in
una vecchia scatola impolverata coperta da un velo nero... L'avevo
lasciato lì, Spike, il mio serpente... il mio bel serpente.
La realtà è che non credevo a quella dannata leggenda, rifiutavo l'idea che potesse prendere forma! Scettico e crudele come non mai ho preso il mio animale, l'ho strappato dalla teca di vetro dove strisciava sinuoso come un potente re e l'ho gettato con forza dentro la scatola; non mi interessava se provasse dolore, se il suo corpo viscido fosse scosso da fremiti a causa della mia violenza... Detestavo quel rettile, era stato mio fratello a comprarlo, ed a me provocava soltanto ribrezzo. Ne ero schifato. Lo bloccai nella prigione di legno, lessi la formula e poi presi il pugnale. -Per ogni mio desiderio!- Mi squarciai la carne del palmo, lasciando che il liquido vermiglio scorresse fino al rettile e ne ricoprisse copiosamente la dimora.
-Funzionerà.- Dissi, -funzionerà...- Conclusi con un ghigno mostruoso sul viso.
Mi avevano raccomandato di gettar via la scatola, ma io non l'avevo fatto, no, non avevo ascoltato nessuna di quelle fottute voci ipocrite che volevano strapparmi l'unica possibilità di salvezza... La scatola era mia, lei aveva scelto me.
Era comparsa una settimana prima di Halloween, qualcuno aveva lasciato l'arcano oggetto davanti alla mia porta, io l'avevo trovato ed ero corso da mio fratello per mostrarglielo; lui aveva corrugato il volto in un'espressione terrorizzata e si era raccomandato di non tenerlo, di bruciarlo, perché secondo la leggenda era la dimora di un demone, e sceglieva una vittima per reincarnarsi la notte di Ognissanti. All'inizio tremai, ma poi aprii la scatola simile ad un baule, l'ambiente divenne improvvisamente gelido... Lessi la pergamena all'interno battendo i denti: “Abbandona nelle fauci della bestia un'offerta dal cuore pulsante, leggi la formula incisa nel legno ed otterrai l'eterna felicità.”
In quel momento mi convinsi che mio fratello volesse distogliermi dalla scatola per ghermirla con i propri sporchi artigli. Ma io non l'avrei permesso, lei era mia. Nascosi quel tesoro nella mia stanza diventata simile ad un congelatore, e sottrassi Spike dalla teca di vetro dove viveva, per trasformarlo nel mio dono al Maligno. Percepii dei brividi sulla pelle alla fine del rito, ed una voce baritonale e crudele sghignazzò divertita per poi comandarmi:“Nutrilo ogni giorno di alcune gocce del tuo sangue, nutrilo e diventerai potente!”.
I giorni successivi dissi della scatola ad alcuni amici, e tutti mi ribadirono le parole di mio fratello; ma non mi curai di loro e sorrisi al pensiero che la notte di Ognissanti mi sarei vendicato... Sarei diventato invincibile.
Ogni notte riaprivo la ferita del palmo e guardavo il sangue scarlatto che fluiva sulle scaglie verdastre del serpente, mentre la scatola emanava un olezzo acre e pungente di zolfo misto al liquido vitale. Intanto quello stolto di mio fratello cercava disperato il proprio animale, ma io riponevo il tesoro in legno sotto il mio letto dopo aver versato il mio sangue, e magicamente svaniva, ero l'unico a poterlo vedere mentre un'agghiacciante oscurità lo avvolgeva...
Finalmente siamo ad Halloween, vedo i miei amici e mio fratello uscire mascherati da mostri ed hanno fra le mani buste vuote, pronte per essere riempite di dolci zuccherosi e nauseanti. Non li seguo, non ho indosso neanche il mio patetico costume da zombie, stanotte otterrò qualcosa di inestimabile valore, molto più raro e soddisfacente di degli stupidi dolciumi.
Salgo le scale per dirigermi nella mia stanza, ogni tanto getto un'occhiata alla casa arredata con ragnatele, zucche e candele, poi finalmente apro la porta per ricevere il mio premio... Mi chino ed afferro la scatola da sotto il letto mentre il gelo mi opprime, ho l'oggetto fra le mani ma inaspettatamente si apre da solo con uno schiocco: CLAK! Scruto l'interno in legno e trattengo un grido... E' colmo fino all'orlo di sangue che inizia a scrosciare come un fiume sul pavimento, macchiando i miei vestiti ed inondando l'intera stanza. <<No...>>, mormoro con voce strozzata. Poi odo un sibilo, un suono lieve ed infernale... Dal fiume di sangue emerge Spike, ma stavolta non ha l'aspetto di un piccolo ed innocuo pitone, ora è enorme, la sua testa è tre volte più grande della mia... è... un mostro. Mi osserva con occhi infuocati attraverso quelle malefiche pupille triangolari, ha il mastodontico corpo viscido coperto di rosso, e la sua ombra sul muro non è di un rettile... no, è quella di un demone dai lunghi artigli e le corna di un caprone. <<No! Avrei dovuto credere alla leggenda di Halloween, avrei dovuto credere a mio fratello! Mi dispiace Spike, è stata la scatola ad ingannarmi!>> tento di giustificarmi con le lacrime agli occhi, mentre il fiume sanguigno si fa così alto da arrivarmi fino alla gola, quasi fino a soffocarmi. <<Tu mi hai ucciso...>> Sibila il serpente strisciando verso di me. Grido di terrore quando percepisco delle mani scheletriche che dall'abisso del liquido carminio tentano di trascinarmi con loro e dicono:<<Il demone di Halloween ha vinto, sarai dannato con noi...>>
Spike spalanca le fauci coperte di denti affilati e mi assale... Mi sta lentamente ingoiando, ma riesco a boccheggiare appena fuori dalla sua gola e noto che siamo dentro la scatola insieme a tutto il fiume di sangue... Vedo qualcuno in piedi sul pavimento della mia stanza tornata alla normalità: sono io.
Me stesso sorride in modo maligno, scoprendo lentamente zanne intrise di rosso. <<Grazie per avermi liberato, starò bene in questo corpo per un po'...>> Il mostro mi fissa con i suoi occhi vuoti. <<E buon Halloween, amico mio>>.
Emetto un grido di dolore e disperazione percependo le mie gambe che vengono divorate dalle fauci di Spike, tendo la mano verso me stesso per implorare pietà, ma l'abominevole essere ride di gusto ed abbassa il coperchio della scatola, che si chiude con un assordante rumore sordo... simile a quello di ossa che si spezzano.
La realtà è che non credevo a quella dannata leggenda, rifiutavo l'idea che potesse prendere forma! Scettico e crudele come non mai ho preso il mio animale, l'ho strappato dalla teca di vetro dove strisciava sinuoso come un potente re e l'ho gettato con forza dentro la scatola; non mi interessava se provasse dolore, se il suo corpo viscido fosse scosso da fremiti a causa della mia violenza... Detestavo quel rettile, era stato mio fratello a comprarlo, ed a me provocava soltanto ribrezzo. Ne ero schifato. Lo bloccai nella prigione di legno, lessi la formula e poi presi il pugnale. -Per ogni mio desiderio!- Mi squarciai la carne del palmo, lasciando che il liquido vermiglio scorresse fino al rettile e ne ricoprisse copiosamente la dimora.
-Funzionerà.- Dissi, -funzionerà...- Conclusi con un ghigno mostruoso sul viso.
Mi avevano raccomandato di gettar via la scatola, ma io non l'avevo fatto, no, non avevo ascoltato nessuna di quelle fottute voci ipocrite che volevano strapparmi l'unica possibilità di salvezza... La scatola era mia, lei aveva scelto me.
Era comparsa una settimana prima di Halloween, qualcuno aveva lasciato l'arcano oggetto davanti alla mia porta, io l'avevo trovato ed ero corso da mio fratello per mostrarglielo; lui aveva corrugato il volto in un'espressione terrorizzata e si era raccomandato di non tenerlo, di bruciarlo, perché secondo la leggenda era la dimora di un demone, e sceglieva una vittima per reincarnarsi la notte di Ognissanti. All'inizio tremai, ma poi aprii la scatola simile ad un baule, l'ambiente divenne improvvisamente gelido... Lessi la pergamena all'interno battendo i denti: “Abbandona nelle fauci della bestia un'offerta dal cuore pulsante, leggi la formula incisa nel legno ed otterrai l'eterna felicità.”
In quel momento mi convinsi che mio fratello volesse distogliermi dalla scatola per ghermirla con i propri sporchi artigli. Ma io non l'avrei permesso, lei era mia. Nascosi quel tesoro nella mia stanza diventata simile ad un congelatore, e sottrassi Spike dalla teca di vetro dove viveva, per trasformarlo nel mio dono al Maligno. Percepii dei brividi sulla pelle alla fine del rito, ed una voce baritonale e crudele sghignazzò divertita per poi comandarmi:“Nutrilo ogni giorno di alcune gocce del tuo sangue, nutrilo e diventerai potente!”.
I giorni successivi dissi della scatola ad alcuni amici, e tutti mi ribadirono le parole di mio fratello; ma non mi curai di loro e sorrisi al pensiero che la notte di Ognissanti mi sarei vendicato... Sarei diventato invincibile.
Ogni notte riaprivo la ferita del palmo e guardavo il sangue scarlatto che fluiva sulle scaglie verdastre del serpente, mentre la scatola emanava un olezzo acre e pungente di zolfo misto al liquido vitale. Intanto quello stolto di mio fratello cercava disperato il proprio animale, ma io riponevo il tesoro in legno sotto il mio letto dopo aver versato il mio sangue, e magicamente svaniva, ero l'unico a poterlo vedere mentre un'agghiacciante oscurità lo avvolgeva...
Finalmente siamo ad Halloween, vedo i miei amici e mio fratello uscire mascherati da mostri ed hanno fra le mani buste vuote, pronte per essere riempite di dolci zuccherosi e nauseanti. Non li seguo, non ho indosso neanche il mio patetico costume da zombie, stanotte otterrò qualcosa di inestimabile valore, molto più raro e soddisfacente di degli stupidi dolciumi.
Salgo le scale per dirigermi nella mia stanza, ogni tanto getto un'occhiata alla casa arredata con ragnatele, zucche e candele, poi finalmente apro la porta per ricevere il mio premio... Mi chino ed afferro la scatola da sotto il letto mentre il gelo mi opprime, ho l'oggetto fra le mani ma inaspettatamente si apre da solo con uno schiocco: CLAK! Scruto l'interno in legno e trattengo un grido... E' colmo fino all'orlo di sangue che inizia a scrosciare come un fiume sul pavimento, macchiando i miei vestiti ed inondando l'intera stanza. <<No...>>, mormoro con voce strozzata. Poi odo un sibilo, un suono lieve ed infernale... Dal fiume di sangue emerge Spike, ma stavolta non ha l'aspetto di un piccolo ed innocuo pitone, ora è enorme, la sua testa è tre volte più grande della mia... è... un mostro. Mi osserva con occhi infuocati attraverso quelle malefiche pupille triangolari, ha il mastodontico corpo viscido coperto di rosso, e la sua ombra sul muro non è di un rettile... no, è quella di un demone dai lunghi artigli e le corna di un caprone. <<No! Avrei dovuto credere alla leggenda di Halloween, avrei dovuto credere a mio fratello! Mi dispiace Spike, è stata la scatola ad ingannarmi!>> tento di giustificarmi con le lacrime agli occhi, mentre il fiume sanguigno si fa così alto da arrivarmi fino alla gola, quasi fino a soffocarmi. <<Tu mi hai ucciso...>> Sibila il serpente strisciando verso di me. Grido di terrore quando percepisco delle mani scheletriche che dall'abisso del liquido carminio tentano di trascinarmi con loro e dicono:<<Il demone di Halloween ha vinto, sarai dannato con noi...>>
Spike spalanca le fauci coperte di denti affilati e mi assale... Mi sta lentamente ingoiando, ma riesco a boccheggiare appena fuori dalla sua gola e noto che siamo dentro la scatola insieme a tutto il fiume di sangue... Vedo qualcuno in piedi sul pavimento della mia stanza tornata alla normalità: sono io.
Me stesso sorride in modo maligno, scoprendo lentamente zanne intrise di rosso. <<Grazie per avermi liberato, starò bene in questo corpo per un po'...>> Il mostro mi fissa con i suoi occhi vuoti. <<E buon Halloween, amico mio>>.
Emetto un grido di dolore e disperazione percependo le mie gambe che vengono divorate dalle fauci di Spike, tendo la mano verso me stesso per implorare pietà, ma l'abominevole essere ride di gusto ed abbassa il coperchio della scatola, che si chiude con un assordante rumore sordo... simile a quello di ossa che si spezzano.